I dolori al basso
ventre le arrivavano come fortissime, impietose pugnalate. Sudava freddo, le
lacrime scendevano sulle guance mentre stringeva convulsamente le lenzuola.
Le dicevano di stare tranquilla, che presto sarebbe finito tutto...
Francesca non ci riusciva, immersa in quel puro, atroce dolore. Lampi rossi
le attraversavano le palpebre serrate ermeticamente.
Basta, basta, basta...
«Stia calma, signora. Spinga...»
E Francesca spingeva, per diventare finalmente quello che sognava da tanti,
tanti anni.
Madre.
Si aggrappò a quella parola, per sopportare quella sensazione in cui nella
sua immaginazione le venivano strappate le viscere dal basso con degli
uncini.
Madre, madre...
Sarò madre.
«Signora, un ultimo sforzo.»
E infatti dall’oscura e morbida cavità della donna uscì un lunghissimo,
sottile tentacolo nero. Si aprì la strada da solo, graffiando e lacerando i
tessuti.
Con il rumore di una bottiglia che si stappa una poltiglia nera si riversò
sul letto, seguita da altri sei sottilissimi filamenti.
L’ostetrica fece un passo indietro, incespicando. Uno dei tentacoli si
diresse fulmineo verso essa, indugiando davanti ai suoi occhi azzurri.
Fu l’ultima cosa che vide, prima che il tentacolo perforasse il bulbo
oculare e si scavò la strada fino ad uscire dalla nuca.
L’altro medico, impietrito dalla paura, non osò raggiungere la porta. E la
creatura ne approfittò, strisciando languidamente verso i suoi piedi e
infilandosi sotto l’orlo dei pantaloni.
L’uomo si accasciò a terra con un urlo soffocato mentre un occhio gli cadeva
in grembo spinto dalla poltiglia strisciante che usciva.
L’essere si diresse verso la donna, sua madre, e si issò sul letto.
Arrancò, superando la placenta e infilandosi nel luogo da cui era venuto.
Francesca strinse le labbra dal dolore, mettendo una mano sul proprio
ventre.
Sono una madre.