– Michele, Lucaaaa! – mamma chiama, è pronta la cena.
– Se non la smetti di offendere, ti faccio male! – sussurra Michele.
Poi, con voce più alta: – Arrivo, mami!
La cameretta è buia. C’è solo la lampada di sale, là nell’angolo, che manda
il suo debole bagliore arancione.
“Ti toglie le cose brutte dal corpo”, dice mamma.
– Sei solo uno stronzetto arrogante! – sibila l’altro. – Se mi fai
male, mi metto a urlare e poi ti picchiano!
Michele lo guarda coi denti serrati. La luce soffusa deforma i suoi occhi in
due fulgide lame sottili. Apre il cassetto della scrivania e tasta in un
frusciare di carte. Avverte nel palmo un freddo metallico. Sogghigna.
– Se provi a urlare, t’ammazzo con queste! – minaccia.
Il piccolino si ritrae, ma continua spavaldo: – Figurati. Poi papà prende la
cintura e...
– SSST! – Michele lo punge con le grosse forbici. Mamma sta salendo le
scale. – Allora, vieni? Luca sta già mangiando! – gli grida.
Michele apre le dita e le lame si scostano. – Non provare a parlare,
dico...
– Mamma, MAMMA! Aiutami vuole tagliar...
Michele spalanca gli occhi e gli si avventa contro. L’indice della sinistra
gli cade a terra con un plop e si dimena sul parquet. Una scarpina lo
schiaccia una volta. Poi due, e tre, e mamma accende la luce, entra e si
copre la bocca. Michele urla, e lei ci casca: crede che era lui a strillare
anche prima.
***
– Piccolo, la pappa... – lei entra col piattino. Da
quando è tornato dall’ospedale gli sta sempre vicina, più che a Luca. La
calda luce della lampada gioca a rincorrere le ombre sulle pareti. Quando
finisce di imboccarlo, mamma lo bacia per la buonanotte e torna giù.
Da sotto le coperte spunta la mano fasciata, una stilografica nel pugno.
– Sei proprio uno scemo! Scemo-scemo-scemo! – lo canzona l’occhio
sinistro.