La vecchia casa
respirava ritmicamente. Silenzio, scricchiolio.
Tutto cigolava, le assi di legno, sofferenti per l’umidità incamerata in
anni di trascuratezza, gemevano sotto il peso di coloro che le calpestavano.
Ma non erano certo questi i dettagli che spaventavano Martina.
A dodici anni si è troppo grandi per temere il crepitio di un rudere di
campagna.
Ciò che le causava disagio era nel lato ovest del grande giardino esterno.
Era una siepe.
Gli enormi pini erano stati piantati da suo nonno. Stavano lì da sempre quei
maestosi alberi nodosi, abbracciati gli uni agli altri creavano un fitto
sipario tra la loro proprietà e il boschetto circostante.
E proprio in quella direzione Martina li aveva avvertiti.
All’inizio fu un semplice fruscio, pensò si trattasse di una volpe.
Giocando col cane, dovette disincagliare un pallone, finito nella lignea
stretta della barriera.
E li sentì nuovamente: un bisbiglìo impercettibile cessato di colpo al suo
avvicinarsi.
Colta da un irrazionale timore si era allontanata di fretta, passando tutta
la giornata a controllare ossessivamente quel punto.
Il giorno seguente e quello dopo ancora Martina li sentì confabulare. Non
interrompevano più i loro incomprensibili discorsi, nemmeno se lei si
accostava con Oliver.
Eppure non intravedeva neanche un’ombra.
Provò a dirlo ai suoi genitori. Ovviamente l’accaduto venne bollato come
capriccio per non voler trascorrere la vacanza nella vecchia casa.
Qualunque cosa si dicessero, Martina fu certa che le voci stessero cercando
il modo per oltrepassare la siepe, quasi si trattasse di una varco magico e
inespugnabile.
Un giorno ci fu silenzio e il silenzio allarmò Martina più di quel parlottio
concitato e indistinto.
Quando sentì lo scalpiccio di piedi umidi sul pianerottolo e Oliver guaire
sommessamente, fece appena in tempo a tirarsi su dal letto.
Un potente e doloroso morso le lacerò la gola, impedendole di urlare.