La fabbrica chiuse.
Mesi di lotte sindacali... per cavarci? Un mezzo infarto!
Il quarantaseienne Guido dovette cercarsi un altro lavoro.
Mica facile. Chi vuoi che mi prenda?
Beppe è un amico. Cercano da me, certo devi abituarti, farti lo stomaco...
Spinge la barella. Ormai è un anno; è vero, si è
abituato. Tranne che al caldo: d’estate nei cunicoli sotterranei privi
d’aria condizionata, quasi invidia l’algor mortis del poveraccio.
Accelera il passo trascinandosi il vischioso corteo di lacrime e
disperazione. Il gelo della camera mortuaria è un toccasana. Fortuna, niente
sforzi, dice allo scansafatiche Beppe, mentre spinge il cadavere nella
saletta.
Fai il bravo... ehi, Guido, c’è una Y da chiudere.
Beppe dice: ti metti quella roba sotto il naso e l’odore non lo senti.
Quando il cranio è scoperchiato, la pelle giù sulla faccia, sembra un
fantoccio. È solo carne.
Si è abituato anche a fare il lavoro “di grosso” nelle autopsie.
Guido fa la zip! Lo sfotte Beppe.
È perché fa i punti di sutura molto ravvicinati. Preferisce così.
A casa è un’altra storia.
Papà, via! Tocchi i morti.
Marito, vai a lavarti!
Ennesima doccia. Poi a tavola, in un angolo, formaggi e verdure, la carne
non gli va più.
A letto, tenta un approccio.
Dio, no. Mi pare di sentire odore di cadavere.
Poi il turno di notte, con Beppe che ubriaco si
addormenta sulle barelle.
Dai... stasera è un mortorio, viene quello di chirurgia. Birra, partitella a
carte...
Cede.
Il mattino, risveglio in solitudine; la testa vuota e pesante insieme,
mentre esce dall’ospedale. Arriva a casa senza intenzione, sfinito, ma
affamato. Sulla porta, la moglie lo guarda maggiormente inorridita. Ma lui
oggi la vuole. Ne sta masticando la carne, quando, passandosi la mano sul
ventre, sente un rilievo, irregolare, abborracciato. Punti distanti...
Mugugna ingoiando.