Lacrime a Fetonte

Richard richiuse la porta e tirò la chiave sul tavolinetto e si buttò sgraziato sul letto. Il pesante portachiavi a forma di casa bianca col tetto azzurro lo mancò e cadde a terra. La scritta diceva καλωσόρισμα! - room 215.
Subito si girò di lato, annaspando, e disse a Veronique, che lo guardava disgustata - Tu lo sai di cosa avrei voglia, eh? - lisciandosi la pancia gonfia. Soffocò una risata con un colpo di tosse.
- Un digestivo - fece lei, scuotendo la testa mora con fatalismo. L'unico orecchino di ambra che portava scintillò.
- Eh, in effetti - Richard si batté forte tre volte l'addome, che ribatté con un gorgoglio - credo di aver mangiato abbastanza.
Veronique tirò un'occhiata all'orologio, poi sbuffò.
Richard continuava a parlare, da solo - Tutto cibo per la taenia saginata - e tossì ancora.
Lei si avviò alla finestra, scostò la tenda che le rivelò il paesaggio al tramonto inoltrato. Guardò il punto alto del monte dove risiedevano alcuni resti archeologici e soddisfatta lasciò cadere la tenda.
- Seee, magari. A quest'ora ero così secco che mi si vedeva il rachide.
Il cellulare le squillò una volta. Le scappò un rantolo.
- Aspetta! Forse si tratta di dispepsia funzionale, magari organica! - lui continuava a parlarsi.
Veronique saltò alla porta e l'aprì. Sbottò in - Era ora!
- Lampezia, dopo nove mesi, mezz'ora in più con questo catorcio che ti costa? - fece la prima delle tre donne che entrò. Sul petto prosperoso e pallido le dondolava una grossa goccia d'ambra.
Richard sobbalzò, avvertì un macigno nella pancia e ricadde a faccia in giù sulle lenzuola.
Sollevò il viso e chiese - E queste chi sarebbero?

- Un regalo - rispose la bionda che guizzò in camera prima che la terza, una ragazza molto giovane con un un laccio dorato a tenerle i capelli neri, chiudesse a chiave la porta.
Richard interrogò con una guardata la sua donna: - Veronique, ma...
Le tre nuove arrivate al suono di quel nome si voltarono verso di lei, dopodiché quella che l'aveva chiamata Lampezia la canzonò - Oh, madame, mon dieu, mais oui.
Scoppiarono a ridere.
Tutte tranne Veronique/Lampezia: fissò odiosa Richard e gli disse - Un regalo, è un regalo.
Lui cambiò espressione e sgomitando si sdraiò di schiena.
- Oh-oh! Natale quest'anno arriva ad agosto! - e cercò di slacciarsi la corda che gli teneva gli enormi pinocchietti alla vita.
La ragazza bionda gli piantò un tacco sul dorso della mano, schiacciandogliela. Le pendeva una sorta di occhio paglierino da una sottile cavigliera. Gli disse - Non essere frettoloso - e gli fece l'occhiolino.
Richard applaudì e iniziò a sgambare come un marmocchio impaziente. La tizia più giovane gli tirò una fettuccia e gli intimò - Bendati.
Non se lo fece ripetere una seconda volta che già s'era stretto la benda intorno alla testa e aveva teso braccia e gambe - Sono pronto a tutto! Tutto!
Quella col pendente sul seno generoso disse alla giovane - Sempre pietosa, Dioxippe.
La quale controbatté - E tu, Egle? Sempre sadica.
- Sì, sì! Fammi male! - si dondolava Richard. Il suo addome rilasciava grugniti a ogni movimento.
Lampezia chiese alla bionda di attaccargli mani e piedi, e così fu fatto.
- Sei pronta? - chiese Egle.
- Non essere frettolosa come al solito, sorellona - s'intromise Dioxippe.
- Infatti - proseguì Lampezia - sono io che devo decidere, dato che a succhiarglielo sono stata io per tutto 'sto tempo.
Richard cominciò a dire sconcerie e a fare richieste sozze.
La bionda sfilò dal frigobar una mela e gliela ficco in bocca - Questa è per il nostro maiale.
- Grazie, Fetusa. Gli si addice al panzone.
Risero gustosamente. Anche Richard, quasi soffocato dal frutto che tratteneva tra le fauci.
Quando si placò la gioia, Lampezia tornò seria e domandò - E le altre?
- Tutte e tre al tempio, già hanno preso forma per il supplizio a papà - la informò la piccola Dioxippe.
- Ho notato dalla finestra che un cane stava innaffiando un pioppo. Chi delle tre? - e rise.
- Secondo te? La più fortunata, no - disse Egle, lasciando ballonzolare il davanzale quando aprì l'armadio e tirò una valigetta di pelle.
- Povera Astride - commentò Lampezia.
- Pensa che a Elie già le hanno nidificato in testa e quel maschiaccio di Febe per poco non prendeva fuoco - continuò la bionda Fetusa.
- A questo punto è stato meglio succhiarlo al porco - fu la frase di Egle prima di inserire il codice e far scattare le chiusure della valigia. Poi si fermò.
- Vai - esclamò Lampezia.
Richard si dimenava credendo di raggiungere il massimo del piacere con quelle tre sconosciute insieme a Veronique che stranamente veniva chiamata Lampezia. Chi se ne frega, basta che godo, pensò.
Ma non fu così.
Le quattro si disposero in cerchio intorno al letto. Egle raccolse dalla ventiquattrore un pugnale con la lama di selce, lucente, con inciso sopra un simbolo. Lo passò a Dioxippe che lo diede a Fetusa e infine andò a Lampezia.
Altri tre pugnali uguali nelle mani delle altre tre.
Socchiusero gli occhi, sospirarono in sincrono una, due, tre volte e cantarono:
Signor del Sole
di noi o pio padre
sollevaci il fardello
ché il cor noi duole
pelle Eridanee ladre
di Fetonte, nos fratello
e calarono i coltelli, forandogli l'una il petto con una dozzina di colpi, l'altra il basso ventre con violenza, la terza in rapide sequenze per squarciargli gli organi interni e lasciare un foro.
Nel foro c'era una piccola, minuscola sfera perfetta, pulsante, calda.
Richard strinse la mela in bocca in un morso che gli lasciò un pezzo enorme in gola, col rischio di asfissiarsi.
Il materasso sbuffò nuvolette di lana arrossate dal sangue che schizzava, sgorgava da ogni pezzo lacerato di Richard.
Lampezia fu più veloce della morte imminente: gli scagliò un colpo secco tra gli occhi, proprio in mezzo alla benda che gli occludeva la vista, che generò uno schiocco. Gli rivelò - Te lo dicevo, era un regalo. Peccato non sia stato per te.
Richard tremò un attimo, poi si lasciò andare.
Fu il frangente in cui Egle, grondante sudore e sangue altrui, si staccò il pendente dal collo e lo lasciò cadere nelle frattaglie di Richard. Poi si portò le mani agli occhi e iniziò a piangere.
Fetusa si piegò su se stessa e scostò un pezzo di carne dalla cavigliera che poi sganciò dal piede e lanciò nello stesso punto in cui giaceva la collana di Egle. Anche lei si coprì la faccia e pianse.
Dalla paccottiglia di interiora si notò fioco un riverbero. Si allargava dalla sferetta palpitante.
La più piccola, Dioxippe, si slegò i capelli e poggiò con delicatezza la stringa ambrata. I palmi sporchi di sangue all'insù, sul viso, e si lasciò andare in un pianto cupo.
La luce si fece più vistosa e si proiettò ancora debole ma decisa fuori dalla finestra.
L'ultima fu Lampezia: dalla valigetta raccolse un brillante braccialetto tutto giallo, un anello con una pietra bionda incastonata e una mongolide fibia da cintura. Li calò dove proveniva quella lucentezza.
La stanza era fortemente illuminata, ora; prima di perdere totalmente la vista Lampezia si svitò l'orecchino, se lo soppesò tra le mani, poi mormorò - Le nostre lacrime son tue, fratello - e tirò la pietra nel mucchio di interiora sminuzzate. E si pianse tra le mani.
Luce. Troppa luce. Divenne tutto bianco.

 

Su una spiaggia lontana un gruppo di giovani si divertiva ballando su una musica a tutto volume, brindando al giorno morente e al nuovo che verrà di quell'estate quasi agli sgoccioli.
Uno di questi notò in quell'insolito fascio di luce una carrozza, con tanto di cavalli e cocchiere, salire verso il cielo e perdersi nella Costellazione del Sagittario.
Poi tornò al bancone del bar e ordinò un altro B52.

Antonio Liccardo "il Collezionista di Attimi"