«Il Casertano mi ha chiesto di unirmi ai suoi nella guerra contro Sorrentino,
ma non è che la cosa mi vada molto», dico.
Il vecchio sminuzza del pane tra le mani, poi getta le briciole ai piccioni
raccolti attorno ai nostri piedi.
«Su chi può contare al momento?», mi chiede.
«Su nove-dieci ragazzi, tipi da niente, però, su Peppe o’ Pazz e sui
fratelli Di Maggio...».
Il vecchio alza gli occhi.
«Sui fratelli Di Maggio, sei sicuro?», mi domanda.
«Sì. Erano spariti da mesi, ma il Casertano deve avergli dato il coraggio
per tornare a farsi rivedere in giro. Don Luigi, che cosa debbo fare?», gli
chiedo.
Si assenta per un secondo.
«Sono tempi difficili, Agostino, tempi di guerra, e in guerra nessuno può
dirsi neutrale, neppure un indipendente come te. Devi schierarti per una
delle due parti. Ora il gruppo di Sorrentino è forte e ben organizzato,
anche se il Casertano è determinato e...».
«E...?», gli domando.
«Niente – mi risponde – cose da nulla». Poi si alza dalla panchina e prima
di congedarsi mi dice: «Scegli bene, Agostino, mi raccomando».
La villa è quasi deserta. A parte il Casertano e due gorilla tutti gli altri
sono impegnati in un’azione di risposta contro Sorrentino. Scavalco il muro
di cinta, scivolo come un’ombra nel giardino e raggiungo la casa. Lui è
nella sala stravaccato sul divano che beve vino e guarda Maria De Filippi
alla televisione. Irrompo nella stanza senza lasciare ai guardaspalle il
tempo di reagire. Uno lo prendo in piena faccia, all’altro gli pianto prima
una palla in pancia che lo fa accasciare per terra grugnante come un maiale,
e poi lo finisco con un colpo alla testa.
«E così hai deciso, eh? – mi dice il Casertano continuando a sorseggiare il
suo vino – Bravo».
Poi inizia a ridere, di una risata cattiva e stonata, e continua a ridere
mentre con il vino che gli cola dalla bocca sulla camicia gli scarico
addosso mezzo caricatore.
Porto dentro la villa il furgone, carico su i corpi, e guido fino alla
campagna di Saracile. Qui una volta si facevano le migliori mozzarelle della
regione, questo prima che il posto diventasse una discarica di prodotti
chimici, industriali e di chissà cos’altro, e alle bufale venisse la
brucellosi. Getto i cadaveri nella fossa che ho fatto preparare giorni prima
e torno in città. Domani un camion scaricherà qui qualche tonnellata di
terra, e del Casertano nessuna sentirà mai più parlare.
Ho portato un sacchetto di grano al vecchio, ma né lui né i suoi piccioni
oggi sembrano volersi far vedere, e io mi sento ridicolo a star seduto da
solo su una panchina quasi fossi un pensionato. Poi avverto un tanfo
terribile, mentre una mano con unghie nere e spezzate fino alla radice mi
artiglia la spalla.
Mi giro, e il grano mi cade per terra.
«Lo so che non ho un bell’aspetto – mi dice il Casalese con accanto i suoi
gorilla – ma dubito che quando verrai fuori dalla fossa sarai più bello di
me». E comincia a ridere, di quella sua risata maligna, mentre non mi riesce
di respirare e il cuore sembra volersi fermare.