“Bambini, da bravi, rimanete in fila. Non toccate nulla
perché sennò le telecamere vi inquadreranno e poi il signor Augusto dovrà
punirvi”.
Augusto, il vice direttore dell’azienda, sorrise dietro ai baffi bianchi, si
sistemò gli occhialini che tendevano sempre a scivolare, e ondeggiò la mano
in segno di percosse.
I bambini lo fissavano affascinati e per nulla spaventati. In realtà il
luogo in sé era incredibilmente fantastico. Stavano percorrendo un corridoio
che da ambo le pareti era ricoperto da scaffali, ospitanti centinaia di
brocche di plexiglas zeppe di Pastiglie digestive e dissetanti Leone.
Ogni contenitore era fornito di un’elegante etichetta che illustrava il
gusto dei vari confetti, gli ingredienti e le proprietà nutrizionali.
Infiniti sassolini colorati pronti per essere gustati.
“E poi, cari giovanotti, se rimarrete al vostro posto vi farò conoscere il
signor Leone in persona, il direttore di questo posto squisito. Lui sì che è
una persona speciale, ve lo garantisco. E credo che abbia per voi una
sorpresa”.
Il signor Augusto sorrideva compiaciuto, proseguendo lungo il corridoio
illuminato che portava direttamente all’ufficio del proprietario della
fabbrica di Pastiglie digestive e dissetanti Leone. Dietro di lui si
incolonnava la prima vera e propria visita scolastica da quando avevano
aperto il nuovo stabilimento. Era una terza elementare ed era fondamentale
fare bella figura soprattutto perché il prodotto che intendevano vendere era
destinato proprio a quella clientela.
E poi erano così carini.
La comitiva raggiunse una sala d’aspetto sufficientemente ampia. In fondo
alla sala spiccava una porta laccata, accompagnata in ambo i lati da
imitazioni di colonne greche. In alto, sopra i capitelli delle colonne,
regnavano incontrastati due leoni di marmo. Sulla targhetta dorata della
porta c’era scritto DIREZIONE. Il resto della sala era costellata di
cartelloni pubblicitari a grandezza d’uomo e altri scaffali e contenitori
trasparenti di pastiglie. Tra uno scaffale e l’altro, tre camerieri
reggevano altrettanti vassoi argentati coperti da scintillanti coperchi.
“Stia a vedere” sussurrò il signor Augusto all’orecchio di una delle due
insegnanti “Che venga fatta la volontà di questi meravigliosi ragazzi!”
esclamò a gran voce. I tre camerieri avanzarono scoperchiando i vassoi e
rivelando decine e decine di confezioni di pasticche. Alcuni bambini si
guardarono indecisi, altri già si allontanavano dal gruppo per scegliere il
gusto preferito. Ben presto tutta la classe rumoreggiava attorno ai
camerieri, chi litigava per l’ultimo pacchetto rimasto di caramelle ai
frutti di bosco o chi si rimpinzava senza attendere di masticare.
E il signor Augusto osservava. Ma non la folla. Isolò con la mente tre
fanciulli, due maschi e una femminuccia, rimasti un poco in disparte
rispetto ai compagni. Li raggiunse uno ad uno, li riunì, conducendoli verso
la porta che conduceva alla DIREZIONE.
“Ora uno di voi tre entrerà nell’ufficio del signor Leone, che è il padrone
di tutto questo meraviglioso tesoro. Ma vi immaginate cosa può contenere la
stanza che si cela dietro a questa porta?” I bambini annuirono estasiati.
“Ma signor Augusto, chi entrerà nell’ufficio?” domandò uno dei bambini,
all’apparenza il più sveglio dei tre.
Il signor Augusto li guardò ancora, poi scosse la testa.
“Vedete bambini, io ho scelto voi tre perché eravate gli unici che non si
sono gettati a capofitto su quei vassoi. Avete dimostrato che non esiste
soltanto la golosità e per questo premierò uno di voi, ma uno soltanto”
“Prenda me signore!” intimò indicandosi con il dito il bambino all’apparenza
più sveglio.
“E perché dovrei scegliere te?” domandò incuriosito il signor Augusto.
“Perché tanto questi due se la fanno addosso e non entrerebbero mai dentro
l’ufficio” sentenziò autoritario.
“Stai un po’ zitto!” esordì l’altro marmocchio, questo di sicuro meno
coraggioso ma determinato a non farsi mettere i piedi in testa dal compagno.
“Ragazzi, vi prego. Litigare non serve a niente ma questa volta il vostro
comportamento impertinente è risultato fondamentale per la mia decisione.
Come ti chiami bella bambina?”
“Irene” rispose lei, mentre due palle di fuoco le incendiarono le guance.
Abbassò gli occhi e avvicinò i piedi. Il signor Augusto le alzò il mento con
le dita callose e le sorrise.
“Irene, tu conoscerai il padrone di questo mondo straordinario.”
Superata la porta con la targhetta DIREZIONE, un
corridoio lungo qualche metro portava ad un’altra porta, all’apparenza più
robusta. Era metallica e verniciata di azzurro, con possenti cardini
tassellati alla parete. Irene proseguì silenziosa. Il signor Augusto era
stato gentile ma allo stesso tempo non se la sentiva di conoscere il signor
Leone. Più che altro non le interessava. Avrebbe di gran lunga preferito
incontrare il direttore della biblioteca pubblica, lui sì! Dopotutto però
era stata scelta tra tutta la classe e quell’aspetto era un motivo di
orgoglio spropositato. E male che andasse sarebbe tornata indietro con le
tasche piene di pastiglie. Certo, a lei neanche piacevano quelle caramelle!
Ogni volta che ne aveva mangiata una le era sembrato di sgranocchiare una
quadretto di borotalco.
Si sforzò di sorridere e azionò la maniglia della porta, che si aprì
facilmente. Sentì che si trattava di una struttura pesante ma allo stesso
tempo leggera; probabilmente dietro quell’inaspettata sensazione di
leggerezza ci stava qualche diavoleria tecnologica di cui parlava spesso suo
papà a tavola. Scacciò quel pensiero ed entrò.
Davanti a lei si apriva una stanza tonda e ampia e dalle pareti
completamente spoglie e buie. Parecchi fari posizionati sul soffitto
illuminavano una gabbia al centro della stanza.
E dentro la gabbia c’era un leone.
Subito Irene non focalizzò la scena, la sua mente non volle riconoscere
quello che gli occhi si ostinavano di segnalare. Non poteva essere un vero
leone. Non lì, nell’ufficio DIREZIONE.
Poi l’animale si mosse, colpendo con una zampata una delle sbarre d’acciaio
della sua prigione e Irene sobbalzò e strillò, strinse le mani in grembo e
indietreggiò lentamente verso la porta, senza togliere lo sguardo dalla
gabbia. Cercò a tastoni l’apertura ma incontrò soltanto la liscia
consistenza della porta chiusa. Allora provò ad azionare la maniglia che
questa volta non ruotò come in precedenza.
Chiusa.
Io non l’ho chiusa la porta, l’ho lasciata aperta! Il panico,
asfissiante come una folata di aria bollente, le invase la gola fin giù
nello stomaco. Provò ad aprire la porta ancora e ancora, poi bussò
ripetutamente.
“Aprite, vi prego, qua è tutto bloccato. Qualcuno mi sente”?
La risposta a quella domanda fu un cigolio. Per un attimo Irene si immaginò
il signor Augusto che tentava inutilmente di ripristinare la serratura
difettosa di quella stramaledetta porta, le maestra che chiamavano i
pompieri, i suoi genitori che attendevano ansiosi nella sala d’aspetto.
Poi il cigolio aumentò d’intensità e Irene capì che il suono proveniva dalle
sue spalle. Si voltò e vide che la gabbia stava scendendo, immergendosi nel
pavimento. Il leone era già libero per metà.
Questa volta non strillò più, il suo cervello si limitò a bloccarle tutti i
muscoli del corpo. Il leone si stiracchiò, poi scavalcò i pochi centimetri
di gabbia rimasti e si diresse verso la bambina. La fissava come un gatto
fissa il topolino che da lì a poco diventerà prima il suo divertimento e poi
il suo pasto. Quando l’animale arrivò a pochi metri, Irene si pisciò
addosso. Quando con una zampata le staccò la testa i suoi compagni, seduti
sul pavimento in moquette della sala d’attesa, iniziavano gli scambi di
pacchetti di Pastiglie digestive e dissetanti Leone.
Le due insegnanti chiacchieravano annoiate, in attesa del
ritorno di Irene. Si chiedevano quanto ancora avrebbero dovuto aspettare.
Gli schiamazzi degli altri bambini non erano più controllabili da un bel
pezzo e poi il signor Augusto si era dileguato e loro non avevano più molta
voglia di imporre i loro ordini.
“Il prossimo mese c’è un’altra visita guidata?” chiese l’insegnante di
italiano.
“Credo di sì” rispose l’insegnante di matematica.
“E in quale noiosissima azienda ci troveremo?”
“Forse allo stabilimento della Puma ma non vorrei che cambiassero idea
all’ultimo. Si parlava anche dei pennelli Cinghiale”.
“Oddio ci mancavano soltanto i pennelli!”