“Andrea!” disse mentre soffocava.
“Oh Maria, cosa ti turba?” rispose il conte.
“ D-D-Delfina! Delfina!” il viso cupo, livido, di Maria, guardava attonito
nell'abisso.
La donna si accorse di aver fatto un errore fatale. Aveva lasciato la
bambina nelle mani di un inquietante pedofilo.
In pochi minuti, presa dalla follia, Maria aveva già decapitato l'amante
Andrea con un'ascia scarlatta, lasciata sulla fredda via da qualcuno. Gli
occhi spalancati e rigidi osservarono ora le mani penetrare il petto
squarciato dell'uomo. Cercava il cuore.
Lo trovò. Lo strappò. Lo divorò. Nel
gelo statico dell'inverno romano, ebbe inizio la metamorfosi. Tutti gli
organi della creatura scomparirono, gli occhi erano già fuori dalle orbite,
la pelle aderente alle ossa e...
“Madre... madre!”... sussurri. La donna, sudata, si svegliò di soprassalto,
ritrovandosi nella sua stanza a Schifanoja, con la piccola Delfina,
preoccupata, ai piedi del letto: “Madre!”.
“Oh Delfina, un incubo... Andrea... tu, nelle mani di quel... vieni qui,
lasciati abbracciare”.
Le due si addormentarono abbracciate, tranquille, mentre la stanza veniva
invasa dall'ombra di un' ascia e da un isterico ghigno perverso.