Mi volsi angosciata.
Da un punto sconosciuto sentii l’essere rapace fiondarsi su di me. Tentai di
scappare, ma le sue cupe ali di membrana mi avvolsero e coi riflessi di un
predatore spiccò il volo. Mi divincolai, ma i miei piedi non incontravano la
terra. La sua stretta mi comprimeva il petto: ero incapace di urlare e non
riuscivo a respirare...
All’improvviso un tuono squarciò la notte e aprii gli occhi. Ansimavo. La
creatura alata aveva dischiuso gli artigli ed ero precipitata con un boato.
Portai le mani alle tempie madide. A poco a poco i pensieri ricominciavano a
incastrarsi nella mia mente, eppure non riuscivo a scrollarmi l’incubo di
dosso. Un altro tuono mi fece accapponare la pelle: avevo il terrore che si
trasformasse nel verso echeggiante della creatura, per cui decisi di
scendere a bere qualcosa. Accesi la luce, ma ci volle un po’ prima che la
cucina si illuminasse.
Girai la manopola che apriva il rubinetto e sospirai portando il bicchiere alle labbra. In quell’istante la lampada si spense: nel buio il suono delle tubature rimbombò nella stanza e mi parve che salisse fino al tetto, lungo la grondaia. Trasalii. Quando la luce tornò, il mio bicchiere rotolava a terra, la zanzariera si era aperta e il vento la faceva sbattere. Da fuori proveniva il raschiare delle unghie del mio gatto che cercava di entrare. Un altro tuono fece mancare la luce e quando si riaccese la zanzariera sbatacchiava contro gli stipiti, ma non c’era più ombra dell’animale. Un tonfo sordo mi fece sussultare. Schiusi l’uscio, tremante: ai miei piedi giaceva una piccola carcassa spolpata. Un verso disumano mi mozzò il fiato. Alzai gli occhi agghiacciata. Non era il cielo. Veniva dal tetto. In un demoniaco sbattere d’ali, la creatura stava per fiondarsi su di me.