Valentina
mi indica il cielo. L'azzurro incontrastato di qualche minuto prima ha lasciato il posto
al grigio plumbeo delle nuvole.
Sembrano cariche.
Sta per iniziare a piovere.
Ho una strana sensazione.
Ho sete.
Siedo sul pavimento.
Appoggio la testa alla parete.
Le scorte di cibo e d'acqua sono terminate da giorni.
L'unica cosa che ingoio è la mia saliva.
Sento un peso sulle mie gambe.
Valentina vi ha poggiato la testa. Trema, ha la febbre a causa della disidratazione. Non
resisterà a lungo.
Le esce del sangue dal naso.
Mi guarda disperata. Non vuole morire, ma io non posso aiutarla. L'unica cosa che posso
fare è pulirle la faccia.
Non ho fazzoletti con me, uso la mia mano.
Osservo il sangue che scorre sulle mie dita.
Scorre.
Come l'acqua di un fiume.
Mi lecco un dito.
Ha un sapore ferroso, ma stranamente piacevole.
È mostruoso.
Più ci penso e più tremo.
Centinaia di persone riverse al suolo.
Torce umane che emettevano grida simili a quelle di bestie macellate in un mattatoio. Più
la pioggia cadeva più il fuoco divampava.
L'aria si è presto impregnata dell'odore di carne bruciata.
Case, edifici, tutto in fiamme. Tutto a causa di questa pioggia maledetta.
Ma chi può averla mandata?
Per fortuna siamo riusciti a ripararci nei sotterranei di un centro commerciale. Abbiamo
qualche scorta di cibo.
Speriamo che smetta presto di piovere.
Accarezzo Valentina dolcemente. È ridotta a uno scheletro, ma sotto
quel sottile strato di pelle, il sangue scorre ancora.
Come l'acqua di un fiume.
Ho ancora nella bocca il suo sapore.
È buono.
È dissetante.
Dopotutto lei sta per morire.
Tasto la carotide.
Ho sete.
Silenzio.
Distolgo la sguardo da Valentina.
Gli altri rifugiati mi osservano.
Ci fissiamo per lunghi interminabili minuti.
Non ho dubbi.
Hanno avuto la mia stessa idea.