«Luca, non gettare la carta a terra!» disse la madre, smettendo per
un attimo di parlare con lamica. Limperativo lo fece sobbalzare, distraendolo
dal gelato e dalla coppia di colombi che si contendevano un pezzo di pane.
Il bambino, quindi, guardò il tovagliolo; catturato da un soffio di vento stava
rimbalzando sul selciato.
«Avanti, fa il bravo. Prendilo e va a gettarlo in quel cestino» esclamò la
donna.
Luca corse verso il pezzo di carta, lo raccolse e si diresse, una scarpetta da tennis non
allacciata, verso la morte.
***
Adoro le madri coscienziose.
Quelle che dicono sempre la cosa giusta: non parlare con gli sconosciuti,
non accettare niente da chi non conosci oppure non sporcare per terra:
va a gettare la carta nel cestino
In questangolo, tra una giostra e il bancone del tiro a segno, allombra di una
vite americana abbarbicata sul metallo, resto in attesa, insospettabile.
Un attimo di distrazione e un piccolo corpo che si dibatte.
A volte percepisco la plastica di un pannolino, più spesso odore di colonia e borotalco,
ma sempre sapore di carne e sangue misto al salato delle lacrime: tutti testimoni di una
vita strappata da un corpo, fragile come una foglia secca.
La donna fece una pausa e si voltò in cerca del figlio.
«Luca? Dove sei?» disse, una nota troppo alta della voce, un formicolio dentro.
Continuando a chiamarlo, andò verso un tralcio di vite americana che pendeva: «Luca?».
Vicino solo il cestino dei rifiuti: un bidone a forma di grasso maiale, i pantaloni
gialli, la camicia a quadri e la bocca spalancata, pronta a ingoiare immondizia.
Passò oltre disperandosi: non notò il laccio di una scarpa da tennis che, come uno
spaghetto, penzolava dal sorriso di plastica del maiale rosa.