La ragazza
dai lunghi capelli corvini, ammantata di nero, varca lingresso del dipartimento
dirigendosi verso il reparto di ematologia. La segretaria allaccettazione,
riconoscendola, abbozza un amaro sorriso.
Uno di quelli che sa di rassegnazione.
Daltronde è già la terza volta, in quella settimana, che si è imbattuta nella
giovane donna dal volto emaciato e dal colorito terreo.
Non ha la minima idea di cosa possa esserle accaduto. Né osa chiedere al personale di
turno perché cè sempre un via vai continuo di gente, in quei determinati giorni
della settimana.
Ha persino paura di domandare in giro perché quei trattamenti devono necessariamente
effettuarsi di sera, quando il sole è già ampiamente tramontato.
I medici di turno, invece, sanno come effettivamente stanno le cose. E non osano
disattendere le direttive imposte dalle massime autorità ministeriali. Semplicemente le
accettano, non avendo altre alternative.
I rimedi tentati, tuttora, non sembrano aver sortito alcun effetto e il rischio di
unepidemia è decisamente elevato. Il numero delle vittime accertate, nonostante il
balletto delle cifre, è incredibilmente spropositato rispetto alle voci che circolano.
Per questo si è giunti al deplorevole compromesso. Per far sì che, con il contributo del
sangue di tutti, questo abominio finisca al più presto.
La porta dinanzi alla pallida ragazza si apre e luomo, in camice
bianco, le fa cenno di accomodarsi.
È il suo turno.
Il trattamento dura poco, circa un quarto dora. Raramente i tempi sono più lunghi.
Alzandosi dal lettino attrezzato regala un sorriso, che sa di scherno, alla giovane
assistente del dottore che le ha appena praticato la trasfusione.
La giovane ricambia con la stessa moneta, accingendosi ad accogliere il paziente
successivo.
Spera tanto che quelle sacche di sangue infetto da HIV possano risolvere il problema una
volta per tutte.
Nel qual caso, il Nobel sarebbe certamente suo.