La donna
spolpa lultimo pezzo di carne con la gola piena dacido. Deglutisce per
ricacciare indietro il conato e comincia a distribuire i pezzi.
Preferirebbe pulire merda per il resto della vita piuttosto che preparare il pasto, ma al
Bioparco i turni si tirano a sorte e nessuno osa lamentarsi. Può sempre andare peggio.
Ha una fame rabbiosa, ma quel lavorio di bocche e denti che si avventano sulla carne le
dà ancora il voltastomaco.
Oggi salto, pensa avvilita, e torna allangolo della macellazione. Raccoglie gli
scarti e li ammucchia alla base del vetro.
Fuori, centinaia di Occhi la fissano: singoli bulbi grossi come pugni se ne stanno
sospesi, in un volo ronzante, puntati verso linterno del recinto.
Liride vitrea e priva di pupilla, la palpebra unala dinsetto, si aprono
e si chiudono con la voracità duna bocca affamata, in un ripetersi ossessivo di
click.
Ma a quello ormai sè abituata. Sono otto mesi che sè svegliata chiusa là
dentro.
Afferra una tibia e con un lancio preciso la catapulta dallaltra parte.
Gli Occhi sussultano in un impazzare dali. Poi, morbosi, passano al recinto di
esemplari asiatici.
La donna continua a scagliar fuori ossa, fino a eliminarle tutte.
Il suo turno è finito, lo stomaco urla di nausea e fame.
Si siede in disparte, le ginocchia al petto, lerba dura che le punge il sedere
scarno.
Osserva gli ultimi dei suoi compagni.
Il ragazzo che pulisce la latrina. La bambina nata due mesi prima, in cattività.
Gli uomini e le donne ormai ridotti pelle e ossa.
Pensa alla ragazza macellata quel mattino. Avrà avuto sì e no ventanni. Nemmeno
una lacrima, quando la sorte lha scelta. Nemmeno un grido di dolore. Solo
rassegnazione.
La donna scuote il capo, valutando le alternative. Cè solo da sperare in un destino
migliore, lindomani.