Humus

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2009 - edizione 8

Ormai non sento neanche più la sete. Solo il sapore dolciastro del sangue, colato in bocca a forza di sbattere la testa contro il legno. Sarà passata un'ora dal risveglio. Sento ancora il gelido odore di stoffa ammuffita e terriccio smosso.
Sepolto vivo.
Come può essere successo a me? Mi abbandono ad un pianto lugubre, infantile, con singulti intermittenti, e come unico risultato soffoco con i lembi del velo che mi stringe. Una mummia sudata in una bara a due metri sotto terra.
E' questa la punizione per i rapimenti all'asilo?
Non è colpa mia, se avevo fame. Erano così giovani, così buone.
Panico. L'adrenalina mi fa dimenare tentando di uscire, spezzandomi le unghie sul legno, battendo i tacchi sul fondo del feretro. Un pazzo istinto primordiale.
Mia madre, masticando avidamente, lo diceva sempre: <<Dio ci perdoni. Se non cambiamo vita finiremo all'inferno>>.
Ed eccolo l'inferno. Avverto il claustrofobico nodo di una cravatta che non riesco ad allentare, con le mani bloccate sull'inguine in un'assurda posizione di preghiera. Urlo: <<Giuro che non lo farò più!>>. Strappo rabbiosamente la rosa che mi hanno obbligato a stringere, e il mio obeso corpo sobbalza come un osceno epilettico impazzito, tra ululati, maledizioni e lacrime che si mischiano all'urina sul fondo della mia stretta bara.

Ma aspetta.
Oddio.
Sento un rumore!
Il suono della terra smossa!
Il coroner si è accorto dello scambio? dell'errore?
La speranza esplode.
Mani che si avvicinano, graffiano, cercano. Chi è il mio salvatore?
Piango, urlo a squarciagola per farmi sentire, la vita è a pochi centimetri. Sento già il tepore che mi avvolge. <<Grazie! non le mangerò più! Grazie!>>

 

toc toc toc...

 

Un'espressione deforme si congela sulla faccia, il corpo si pietrifica, le mani si annodano, quando capisco che chi bussa non è sulla mia bara.
E' sotto.

Fabrizio Mazzoccoli