Sette meno dieci, il
cielo ancora d’un grigio morto e impenetrabile. Luca stava facendo
riscaldamento muscolare, quando scorse un movimento tra le siepi. Pensò che
fosse Enrico che aveva fatto tardi. Non lo aveva trovato fuori l’ingresso
del parco, ed era entrato dopo averlo atteso un paio di minuti. Ma non era
l’amico, bensì un vecchietto sulla settantina, calvo e con gli occhiali.
Quando fu quasi vicino, Luca gli rivolse il buongiorno, senza interrompere
gli esercizi. L’anziano sorrise, e andò a sedersi su una panchina di fronte
a lui. Luca si asciugò un po’ il sudore dalla fronte, e bevve un sorso dalla
borraccia.
«Bevi piano. Con la roba fredda c’è da stare attenti.
Luca annuì. Non credeva di conoscerlo, eppure qualcosa nella voce gli era
parso familiare.
«Viene spesso qui la mattina presto?» Il vecchio annuì, e sembrò meditare
sulla domanda che gli aveva fatto.
«Alla tua età venivo anch’io a correre qui di prima mattina, assieme a un
mio amico. Ci facevamo almeno venti giri del parco. Allora non era così
sporco e maltenuto.»
«Immagino. Doveva essere stupendo.»
«Già. Poi, un brutto giorno non ho voluto più correre. Il mio amico si è
sentito male e mi è morto sotto agli occhi.»
«Mamma mia, che cosa orribile!»
«Sì. Orribile e assurda. Il suo cuore aveva un soffio. Nessuno lo aveva mai
sospettato. Io ero rimasto indietro nella corsa, e d’improvviso me lo vidi
cascare a terra come un sacco. Ma era un ragazzo di vent’anni.»
Luca guardò l’orologio. Le sette, ed Enrico non si vedeva. Strano.
«Con permesso, signore, io ho finito di fare riscaldamento, mi faccio i miei
giri...»
«Prego, ragazzo. Ci vediamo dopo.»
Partì con falcate lente e ampie, prendendo gradualmente velocità. Il
sentiero asfaltato che tracciava il perimetro interno del parco era ancora
immerso nella penombra. Il sole non aveva ancora fatto capolino tra gli
alberi. Prese slancio, i piedi saettavano sull’asfalto quasi senza far
rumore. Completò il primo giro, e oltrepassata la curva ad angolo retto vide
che il vecchio era ancora seduto sulla panchina. Pensava fosse andato via.
Gli fece un cenno di saluto proseguendo di gran lena. Correre la mattina
pesto gli distendeva la mente come nessun’altra cosa. Si sentiva libero e
leggero. Aumentò l’andatura e il secondo giro fu completo. Il vegliardo era
ancora sulla panchina, come una statua poco attraente. Quella presenza che
lo fissava iniziò a infastidirlo. Pur consapevole di quanto l’idea fosse
ridicola, il vecchio gli trasmetteva un presagio di iella. Se almeno quel
buono a nulla di Enrico fosse stato con lui, invece di poltrire a letto!
Bruciò un altro giro del parco in quelli che gli sembrarono pochi secondi.
Quel vecchio maledetto era sempre lì, con quello sguardo fisso che sembrava
trapassarlo. Il nervosismo iniziò a fargli perdere la coordinazione. Si
sforzò di dominarsi. Ritrovò il suo ritmo e la scioltezza armoniosa della
falcata.
Così va meglio. Ma se al prossimo giro lo trovo ancora che mi fissa gli
sputo in faccia.
Ma proseguendo nella corsa si distese, e quando completò il quarto giro
si era ormai del tutto tranquillizzato. Guardò senza più astio quella figura
dalla testa calva. Un primo, timido raggio di sole si intravide, rifraendosi
sulla montatura degli occhiali del vecchio. Mentre passava davanti la
panchina, quel luccichio lo accecò per un attimo, facendogli lacrimare gli
occhi. Li strabuzzò, mentre un capogiro lo faceva sbandare nella sua corsa.
Quel senso di vuoto nella testa si tramutò in un brivido freddo che
serpeggiò lungo il collo scendendo nel torace. Non riusciva a vedere più
nulla, mentre i piedi continuavano a battere sul terreno, ma non più veloci
e leggeri come prima, ma tal quali freddi tocchi di legno. Una massa dura e
fredda gli premeva in gola, impedendogli di respirare. Ebbe una vaga
percezione della sua perdita di equilibrio e riuscì a tendere le mani avanti
per parare l’impatto con l’asfalto. Fece uno sforzo per rialzarsi. Poi ebbe
la sensazione che un gigante gli avesse percosso il petto con un colpo di
maglio. Le membra non gli obbedivano più, le sentiva improvvisamente
fredde...
Il vecchio vide Luca sbandare e perdere l’equilibrio. Osservò quel ragazzo
di vent’anni accasciarsi a terra, provare a rialzarsi, premersi una mano sul
petto e abbandonarsi alle convulsioni.
E poi lo vide svanire, come consumato dai raggi del sole che lo
illuminavano.
Il vecchio Enrico si tolse gli occhiali per asciugare il viso dalle lacrime.
Di nuovo, erano sgorgate senza che neppure se ne accorgesse, come ogni volta
che veniva al parco e riviveva quel momento. Il suo dolore non si era mai
alleviato, neppure dopo cinquant’anni.