Una
Mercedes lo sorpassò rapida, scomparendo inghiottita dalla galleria.
Federico guidava da unora. Sole a mordergli le spalle e un sorriso insistente posato
sulle labbra.
Entrò.
La roccia si sostituì allazzurro del cielo.
La vecchia Uno tossiva il suo disprezzo per una giusta pensione non goduta. La voce ruvida
di Springsteen donò il giusto sapore alla sua solitudine.
Avrebbe incontrato Monica, finalmente. Dopo tre mesi di occhi rossi e tasti percossi
dalleccitazione, lavrebbe vista.
La temperatura si abbassò; lilluminazione del tunnel perse mordente, fino a
svanire. Sbuffò: accese gli anabbaglianti. La testa piena di colori era persa in un
collage nevrotico dimmagini e fantasie.
Monica, Monica, Monica.
Dieci minuti, poi il freddo lo aggredì. Chiuse il finestrino. Laria gelida lo
riportò al nero silenzioso.
È lunghissima, pensò.
Dopo qualche minuto il respiro si fece più affannoso. Spense lautoradio e tese
lorecchio.
Nessunaltra macchina.
Rallentò.
Venti allora per quindici minuti: altro buio e silenzio.
Impossibile.
Accostò. Prese fiato e scese. Gelo e tenebre, nientaltro.
Osservò il fondo scuro del tunnel e tremò.
Inghiottì e risalì.
Piombo sullacceleratore. Unora di battito accelerato e oscurità.
Due.
La spia della benzina ammiccò.
- Basta! - urlò.
Tre ore.
La macchina gorgogliò, spegnendosi. I fari puntavano sul nero.
Federico rimase immobile, incredulo.
Scosse la testa, scese di scatto e corse. Corse digerito dal buio.
Nulla.
Singinocchiò, pianse e invocò Dio.
Ancora tremante, si rialzò e camminò. Per ore.
Quando le gambe gli morsero la testa, cadde stremato sullasfalto. Brividi
appiccicati allanima.
Svegliami!
Poi la vide.
In fondo: una luce! Strisciò per raggiungerla.
Nel chiarore scorse qualcuno. Reggeva qualcosa. Oltre: immagini torbide, fasciate di
grigio.
Savvicinò, il cuore che martellava... si bloccò agghiacciato.
Lessere deforme, mandibola sfatta, lo guardava con occhi vacui. Federico ebbe
limpressione che gli stesse sorridendo.
Sul cartello: Ciao, sono Monica, benvenuto a casa.