Armlight si
trascinò fuori dai rottami incandescenti del velivolo, sputando schegge di denti e sangue
in una poltiglia rosacea. Rimase disteso col naso piantato nella polvere, sorridendo, poi
si girò sulla schiena e guardò il cielo, un manto neropetrolio punteggiato di stelle
colossali.
Limpatto era stato tremendo; qualcosa non aveva funzionato nel sistema frenante,
trasformando i suoi compagni di viaggio in una manciata di fantocci mutilati.
Non aveva importanza. Lui era sopravvissuto, contro ogni pronostico. Destino. Missione
compiuta, Hip Hip Urrà.
Si alzò in piedi, lentamente, e sentì qualcosa cedergli nel ginocchio. Nessun dolore,
solo un formicolio vago e diffuso. Poi, mentre cercava di verificare il funzionamento
delle sue articolazioni, la vide.
Lontano, nel buio, la Città se ne stava sdraiata sulla piatta linea
dellorizzonte come una splendida donna nuda, una matrona grassa e lussuriosa che
prometteva piaceri inenarrabili. Armlight provò qualcosa di simile allestasi: ce
lavevano fatta. Anni di studio per decifrare i calcoli aeronautici, anni di fatica
per ripristinare gli impianti e mettere a nuovo quel mostro di acciaio che puntava il suo
muso affilato verso il firmamento.
E pazienza, tanta pazienza.
Li avevano sempre sottovalutati, derisi, umiliati, braccati, ma poi avevano preso
il sopravvento, costringendo i pochi superstiti della razza umana a cercare un nuovo nido,
un nuovo mondo su cui ricominciare. E adesso lui era lì, li aveva raggiunti. Erano lenti,
non stupidi.
Guardò ancora una volta il modulo di atterraggio dello Shuttle alle sue spalle, una
carcassa deforme e inutilizzabile. Porcaputtana, a pensarci cera da crepare dal
ridere.
Armlight, il primo morto vivente sulla Luna, cominciò a saltellare verso limmensa
cittadella degli uomini, leggero come una foglia, umettandosi le labbra purulente.
Presto, molto presto, non sarebbe stato più solo.