Ho fame, ho freddo

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2009 - edizione 8

Ho fame. Ho freddo. Sono chiuso da circa un mese nella mia casa. Ho quasi finito il cibo, mi rimane solo qualche scatoletta di tonno e poca acqua nella vasca da bagno. Il freddo mi penetra nelle ossa con dita di ghiaccio.
La centralina del riscaldamento non va da qualche giorno ma non ne sono sicuro. I giorni sembrano infiniti ed è facile perdere il senso del tempo. Questo dannato inferno è emerso nei primi giorni di novembre.
Sono in uno stato pietoso. Butto le mie evacuazioni dal balcone. Non m’importa della dignità che getto ad ogni secchiata, spero solo di colpirne il più possibile di quelli abomini. Sono ovunque i morti. Fissano il vuoto o l’eternità della loro condanna. Vagano senza meta inseguendo pensieri semplici e ricordi annebbiati di quello che erano. Sembrerebbero quasi persone normali se non avvertissi il loro fetore e il loro cupo lamento. Sento i loro gemiti, in strada. Sembrano venire dalle mura stesse della mia abitazione.

Non so se il mio vicino ce l’ha fatta. Forse è proprio lui che gratta incessantemente alla porta blindata. Sto sopravvivendo a fatica e mi ritengo fortunato a non essermi ancora ammalato; di questi tempi un semplice raffreddore sarebbe ingestibile. Gli incubi mi tengono sveglio di notte. Reminescenze dell’inizio dell’apocalisse.
Tutto è accaduto in un attimo: città, governi, nazioni intere fagocitate dall’oscurità della piaga.
La morte ha abbracciato l’umanità per traghettarla in un’epoca di profondo terrore.
Già da giorni medito il modo migliore per togliermi la vita. Guardo la folla di morti in strada. Ho l’impulso di sporgermi più del dovuto. La caduta è sorprendentemente lenta; ho visto davvero la mia breve vita scorrere come un film. Poi l’impatto. Le gambe disintegrate, il bacino frantumato. Il sangue scorre denso verso i canali di scolo; ho freddo… ho fame!

Simone Gentile