La cravatta era stata risucchiata nella fessura della carta: non avrebbe dovuto chinarsi troppo vicino alla macchina distruggidocumenti. Soffocò nel sangue, la testa incollata sul monolito grigio, in mezzo a schegge di denti e poltiglia rossastra. La lingua, strappata dalla bocca e allungata come gomma da masticare, aveva intasato le lame. Lespressione di quello che era rimasto del volto sembrava il fotogramma di un urlo di terrore.
Non lontano una figura imponente, con lampi cremisi fiammeggianti nelle pupille, gettava nella spazzatura un pupazzo infilzato da uno spillone nero e un pacco di documenti in cui risaltava una scritta: PARMALAT.