Du bist wie eine blume

New York City, 7 gennaio 1943
Stretta nel soprabito scuro, Clementine fissa il portiere.
L’uomo le sorride ammiccante: la divisa chiazzata e pochi capelli unti sul cranio.
Lei percepisce qualcosa di insolito e si costringe a uno sforzo che vorrebbe evitare: scivola nella mente dell’uomo e trova spazi densi e scuri come bitume, in cui le sinapsi scoppiettano come piccoli fuochi fatui.
Poi, finalmente, si rilassa: l’uomo non nutre alcun sospetto. La considera un’onesta prostituta che fa regolarmente visita al suo bizzarro, attempato cliente.
Sale le scale: il Columbus Hotel è una bettola di infima categoria, ma l’unico alloggio che Nikola, indebitato fino al collo, può permettersi.
La moquette è rovinata, nel corridoio ne mancano intere zolle, e l’aria è appesantita da un tanfo opprimente.
Giunge davanti alla stanza 96: la porta, come sempre, è solo leggermente socchiusa. Spinge l’anta ed entra.
Nikola è seduto sul letto: la sua enorme e ossuta figura annichilita dal solito malessere, le lunghe dita a massaggiare le palpebre.
Clementine riesce a vedere, senza alcuno sforzo, il vortice psichedelico in cui i pensieri di Nikola vengono risucchiati e tracimati.
- Nikola, vedi di nuovo... quelle cose? - domanda lei, avvicinandosi, ma senza invadere lo spazio invisibile che sa di non dover oltrepassare.
Lui la guarda, come per la prima volta. Poi dice, con voce sommessa: - A Smiljan, quando ero piccolo, mi succedeva sempre...

Clementine si prepara ad ascoltare il racconto che le fa ogni volta, di quando era piccolo e viveva in Croazia con i genitori.
- Percepivo, dapprima, una sfumata aura - continua il vecchio, rimanendo rannicchiato sul letto disfatto. - Un pulviscolo dorato che man mano si addensava fino a divenire vischioso e mi avvolgeva, e poi la voce...
- Quale voce, Nikola? - anche Clementine si è abituata a fare sempre le stesse domande.
- Era una voce lontana, indefinibile, non saprei dire se di uomo o di donna, e mi sussurrava di fare attenzione, di essere cauto... - l’uomo deglutisce, prendendo fiato. - La mia mente, mi diceva la voce, era un dono formidabile, ma anche un veleno, un’arma potente... avrei potuto salvare il mondo oppure distruggerlo...
Poi, di scatto, il vecchio tace. Allontana le mani dal viso, osservandole come se non capisse come avessero fatto ad arrivare lì sulle sue palpebre.
Si leva in piedi, lentamente, in tutta la sua imponente statura: sfiora i due metri.
“La tempesta è passata”, pensa con sollievo Clementine.
Il vecchio trascina i piedi come se fossero di piombo e le si avvicina, sovrastandola.
Clementine si vede riflessa nei grandi occhi nocciola di lui: la figura minuta, il volto lievemente spigoloso e affilato, i capelli neri raccolti in una crocchia. Si trova, in quell’originale specchio, tanto più vecchia di quanto non riesca a ricordare: solo le iridi, forse, hanno conservato una dolce sfumatura dorata.
- Du bist wie eine blume - dice lui, rompendo il silenzio.
Un brivido le serpeggia lungo la schiena e la fa sussultare.
- Non sapevo conoscessi il tedesco, Nikola - mormora lei, con voce rotta.
- Infatti non lo conosco - replica il vecchio, un sorriso malinconico sul volto. - “Tu sei come un fiore”. È una sonata di Schumann.
Nikola indica il grammofono, in un angolo della stanza. - Fai suonare Schumann, te ne prego - le chiede con gentilezza, aggiungendo: - mentre prendo le solite medicine della sera.
Clementine consegna le pillole al vecchio, poi si accosta al grammofono e lascia che la punta dello strumento cada a graffiare il disco. Mentre la musica si diffonde nella stanza, una struggente malinconia si insinua nell’animo della donna e si amplifica man mano, trafiggendola come la puntura di mille spilli.
Guarda fuori dalla finestra.
Piove.
Il ticchettio delle gocce sul vetro e la dolce melodia della sonata: due ritmi paralleli e distanti, che non si sarebbero mai né incontrati, né fusi.
Sospira, cercando di dominare le emozioni.
“Presto”, pensa con sollievo, “tutto sarà finito”.

 

Berlino, dicembre 1939
Marlene aspira il tabacco dalla sigaretta sottile, trattenendo il fumo nelle narici e nella gola, solo per un attimo, poi lo libera in una lenta e densa voluta.
L’uomo che le siede di fronte ha occhi color cobalto e zigomi duri, intagliati. Nella sua testa, i pensieri sono gelidi e scivolosi come lastre di ghiaccio.
La donna si sistema una ciocca di capelli, sfuggita alla complessa acconciatura, e afferma: - Sono pronta.
- Non sarà facile, fräulein - sentenzia l’ufficiale dell’Essedi, il Sicherheitsdienst, il servizio di sicurezza nazista. - Il compito si presenta piuttosto complesso, anche per una persona, come dire... dotata come voi.
- Come vi dicevo, sono pronta. Il mio americano è ormai quasi migliore del mio tedesco...
L’uomo sorride, scoprendo un dente d’oro, che scintilla nell’atmosfera crepuscolare del bunker.
- Vediamo di ricapitolare bene: il vostro compito, fräulein, è avvicinare tale professor Nikola Tesla, un fisico americano di origine serba. Da alcuni è considerato un genio, da altri un inconcludente visionario.
L’ufficiale fa una pausa, sulle labbra un ghigno sarcastico: - Temo che il vostro fascino, fräulein, non vi aiuterà molto nell’impresa, il professor Tesla si definisce, come dire... asessuale... - il ghigno si trasforma in una risatina. Poi l’uomo si ricompone, lisciandosi il cranio con la mano, e continua: - Per cui vi offrirete come assistente di laboratorio, posto non difficile da ottenere. Tesla paga poco, essendo sempre a corto di quattrini.
- Tutto è chiaro - ribatte Marlene, stanca delle insinuanti battute dell’ufficiale.
- Un’ultima cosa, fräulein.
- Dite pure.
- Dovete portarci “il Raggio”: Nikola ci lavora da anni. Ma voi sapete che il professore non conserva alcuna documentazione delle proprie invenzioni. Fin dall’infanzia, Nikola è dotato di una mente fervida e potente, che gli consente di visualizzare i propri progetti come se fossero reali e di correggerli nello spazio psichico, fino a portarli a termine.
Marlene annuisce.
- Per questo mandiamo voi - riprende l’ufficiale. - Siete l’unica che può rubare il progetto. Scavate nella mente di quell’uomo, quando sarà il momento. Memorizzate il congegno, imprimetelo nella vostra memoria. E consegnatelo alla Grande Germania.
Non c’è altro da aggiungere.
L’ufficiale alza il braccio.
- Heil Hitler!
- Heil Hitler! - replica la donna.

 

New York City, 7 gennaio 1943
Non piove più.
Dalla cima del Columbus Hotel, la città scintilla come una pietra preziosa.
In cielo, non una nuvola: solo l’alito lieve del vento e il profumo della pioggia.
Clementine pensa al nome Marlene e le risuona vuoto. E distante, come Berlino.
Il veleno ha prodotto con efficienza e velocità i suoi devastanti effetti: incolore e insapore, non è stato difficile camuffarlo nelle pillole della sera.
Ha ancora nelle orecchie i rantoli di Nikola. Appena un attimo prima che sopraggiungesse la fine, è riuscita a insinuarsi nelle maglie dilatate della prodigiosa mente del fisico: il progetto era lì.
Definitivo, perfetto.
Un’architettura luminosa nell’intricato groviglio di una psiche troppo complessa per sostenere se stessa.
Con teutonica precisione, Clementine ne ha memorizzato e trafugato ogni particolare.
Ha atteso tanti anni finché il progetto, nella mente del fisico, è arrivato a totale compimento, alla completa definizione. Quando ha percepito che Nikola era finalmente soddisfatto e non avrebbe apportato ulteriori modifiche, ha agito con determinazione.
L’arma leggendaria, conosciuta come il “Raggio della Morte”, è adesso nelle sue mani.
Fasci concentrati di particelle nell'etere: un'energia così potente da annientare una flotta di diecimila aeroplani nemici, tale da far cadere qualunque esercito. L’arma di cui Hitler ha bisogno per vincere la guerra.
Nikola aveva una natura dolce, ascetica: desiderava creare uno strumento di difesa, di pace. Nel tempo, con la quotidiana frequentazione, quella docilità, non mollezza ma piuttosto vitale desiderio di armonia, ha cambiato Clementine nel profondo.
Lei sa che deve far sparire l’arma.
Nell’unico modo possibile.
Con un solo, risoluto movimento, si getta oltre la balaustra dell’alto palazzo.
Mentre precipita, le finestre accese del Columbus Hotel le saettano di fronte in un liberatorio vortice di luce.
Adesso si sente leggera.

 

Come un fiore.
Tu sei come un fiore
Così grazioso e bello e puro
Ti guardo e la malinconia
Si insinua nel cuore
È come se dovessi tenerti sulla testa
Le mani pregando che Dio
Ti mantenga così pura e bella e graziosa
(Heinrich Heine)

 

N.d.A.: Nikola Tesla è realmente esistito. Il suo contributo scientifico è stato rivalutato solo dopo la sua morte, avvenuta per ragioni ancora non chiare. Lo scienziato possedeva delle prodigiose qualità psichiche e diceva di poter visualizzare i propri progetti nello spazio mentale.
“Il Raggio della Morte” è una leggendaria arma elettromagnetica, attribuita al fisico serbo.

Luca Filippi