Il quinto compagno

Il dottore si rilassò sulla poltrona e poggiò la punta della matita sul block notes.
- Cominci pure - disse.
L’uomo sdraiato sul lettino era sui quarant’anni, aveva un viso emaciato con zigomi alti, e una calvizie incipiente gli rendeva particolarmente lucida la fronte.
- Eravamo io, Lugonsky, Parkov e Andrejev - iniziò - e facevamo parte dello stesso battaglione. Gli unici due graduati erano Lugonsky e il sottoscritto: io ero sergente, lui caporale.
Si bloccò e fissò un punto preciso nell’aria, come volesse mettere a fuoco un moscerino. Il dottore attese, paziente.
- Quella notte - riprese - i talebani sembravano spariti da Kabul. I nostri avevano bombardato per tutto il pomeriggio, e non c’era traccia nemmeno dei temuti guerriglieri mujaheddin, che di solito scendevano dalle montagne... ne sentivamo le grida e il puzzo a chilometri di distanza, accidenti a loro... No, quella notte sembrava tutto così... irreale! C’era un silenzio che, se avessi sputato per terra, potevi far venire un infarto a qualcuno! - scosse la testa e fissò di nuovo il dottore - Ci stavamo muovendo in fila indiana, rasentando i muri di case distrutte dalla nostra gloriosa Armata Rossa, cercando di concentrarci sul rumore prodotto dagli stivali logori che indossavamo... quel silenzio ti faceva impazzire!
- Poi cosa successe?
- Patapum! Una mina, o forse solo un bossolo d’artiglieria, di quelli che esplodono a scoppio ritardato, come nella notte di San Silvestro! Non saprò mai dirglielo. So solo che, improvvisamente, ci ritrovammo seppelliti in quella conca!

- Quanto era ampia?
- Due, tre metri, forse quattro... chi lo sa? Doveva essere l’interno di una vecchia botola, una delle tante dove la gente del posto conserva gli alimenti, il vino, o quegli intrugli che si scolano di sera, in quei luoghi. Comunque, ci finimmo dentro dopo lo scoppio. Il guaio fu che l’esplosione fece crollare mezzo mondo, lì intorno, e le macerie ci seppellirono completamente, tutti e quattro, in quel buco!
- Rimaneste al buio e intrappolati?
- Lei è un genio, dottore! Certo!... Non arrivava che qualche spiffero qua e là, ma il buio era assoluto. Distinguevamo appena le nostre sagome!
- Cosa faceste?
- E cosa potevamo fare? Un bel niente! Concordammo subito che era giunta la fine!
- Ma non tentaste nemmeno di uscire da quella tomba, in qualche modo?
L’uomo rilassò i muscoli del volto. E come? Non c’era la più piccola apertura, se non per far passare una lucertola! No, doc, non avevamo speranze, almeno così credevo... In verità, tentammo di forzare le macerie in quello che sembrava il punto più debole, ma senza risultati. Veda, era crollata un’intera impalcatura in calcestruzzo... No!... No!... Fu grazie all’altro che mi salvai la vita!
- L’altro?...
- Già! Confesso di essermi accorto presto che lì sotto non eravamo soli...
- C’era qualcun altro, oltre a voi?
- Siete sordo, dottore? E’ esattamente così! Ma me ne resi conto soltanto io. Ecco la ragione per cui lui parlava solo con me... perché solo io lo sentivo!
- Lo sentiva...?
- Beh, in realtà lo... come dire?... lo “avvertivo” in qualche modo, capisce? E lo ascoltavo. Molto. Fu lui a dirmi esattamente cosa dovevo fare per poter uscire da lì, vivo e vegeto. I nostri ci avrebbero messo del tempo ad arrivare, così come i soccorsi a trovarci... Kabul era un inferno, e sarebbero potuti passare giorni... settimane! Quindi il problema era: sopravvivere fino a quel momento! E fu Horlak a darmi la chicca!
- Horlak?... Era il suo nome?
- Sì, ha capito bene, dottore. Horlak. Lui mi disse che dovevo essere paziente. Mi spiegò con insistenza quello che avrei dovuto fare. Al principio non lo ascoltai molto, ma poi riflettei che, in effetti, non aveva tutti i torti. Almeno, in quel modo, sarebbe sopravvissuto uno di noi! Che poi fossi io, era un dettaglio, in fondo.
- E qual’era il modo?
- Uccidere gli altri e mangiarli, per nutrirmi. Feci notare ad Horlak che avrei dovuto anche bere, per sopravvivere. Lui mi assicurò che il sangue umano contiene molta acqua! Così avrei avuto anche di che bere!
- E... lei lo fece?
- Certo! Cosa potevo fare? Eravamo spacciati comunque, tutti e quattro, e le informazioni per il generale Zukonlev, sarebbero andate perdute! - Annuì e indurì leggermente gli zigomi. I suoi occhi brillarono. - Lei cosa avrebbe fatto, dottore? Avevo questa vecchia baionetta, l’Armata Rossa ce ne dotava ancora, pace all’anima sua, e la usai. Li sgozzai nel sonno, tutti e tre, e bevvi il loro sangue. Poi li squartai. Tolsi le interiora e le diedi a Horlak. Lui mi aveva detto di andarne matto! E mentre lui si ingozzava di budella, io mangiai la carne ed il grasso.
- Vuole dire... così... crudi?
- No, alla brace e con tanto rosmarino! - scoppiò in una risata stridula - Certo che erano crudi, dottore, dove lo prendevo un barbecue? Comunque io e Horlak, avemmo carne e liquidi per sopravvivere un bel pezzo, là sotto!
- E quando la trovarono, non capirono quello che era successo?
- Vuole scherzare? Esplosioni e macerie avevano trasformato quel quartiere in un macello! Imbattersi in pezzi di corpi umani dilaniati era come trovare cocci e pietre negli scavi di Pompei! Comunque, mi salvai la vita, e potemmo uscire da quel posto e ritornare sani e salvi!
- Tornaste...?
- Beh, non gliel’ho detto?... Non sono tornato solo, da quell’inferno. Horlak venne con me. Mi aveva salvato la pelle, capisce? Non me la sarei mai sentita di abbandonarlo!
- E... continua ad “avvertirlo” lei da solo?
- Già! Curioso, vero?... Il guaio è che... - Si era alzato dal lettino, lentamente, e ora si stava avvicinando al dottore. Infilò una mano nel taschino della sua giacca smunta e ne estrasse qualcosa che luccicò in modo sinistro nella penombra della stanza.
- Il guaio è che... - proseguì - ... lui ha sempre questa terribile, spropositata... oserei dire abnorme, quanto insaziabile... fame!

Alfonso Dama