Quando
Augusto lo vide arrivare si era appena sistemato nellascensore. Trattenne le porte
perché entrasse, e dopo aver smozzicato un buongiorno, si immerse nella targhetta
che parlava di capienza e chilogrammi.
Laltro gli pareva si chiamasse Bertini. Teneva con entrambe le mani una scatola di
scarpe, di quelle in cartoncino spesso, marrone e senza scritte. Lo fissava con occhi
sbarrati, respirando rumorosamente dalle narici. Augusto finse di ignorarlo, incollando lo
sguardo allilluminarsi dei bottoni, ma come giunse la T, laltro gli spinse
bruscamente la scatola contro il petto.
- Tenga! - gli sibilò - E non lapra mai, per nessun motivo! - E prima che lui
potesse restituirla era già uscito dallascensore.
Augusto la scosse e cercò di sollevare il coperchio, ma sembrava incollato.
Labbandonò sul sedile per lintera giornata, e solo quando rincasò, con
laiuto di un coltello, riuscì ad aprirla.
Era vuota.
Pochi secondi dopo arrivò il millepiedi. Giallo, grosso e ruvido come unarachide.
Aveva due occhietti vispi, come se stesse per dirgli qualcosa, ma non faceva altro che
corrergli addosso, raspando con le zampette e sibilando.
Lo schiacciò e divennero due. Provò a staccarli e raddoppiarono ancora, tutti uguali al
primo.
Sua moglie non li vedeva, sua figlia nemmeno. Si mise a gridare e a grattarsi
furiosamente, finché dovettero chiamare la guardia medica. Allucinazioni da stress,
dissero.
Dopo una settimana di convalescenza dovette cedere e affermare che non li vedeva più, ma
mentiva.
Quando sincontrarono di nuovo, in ascensore, erano passati mesi.
Augusto era un carcame di pelle e nervi. Bertini aveva unaltra scatola, diversa.
- I miei sono ragni - disse ammiccando - e i suoi?
Lui non rispose.
- Vedo che si è accorto, - continuò laltro, con un ghigno - che a ogni scatola
sono più piccoli.
Augusto abbassò lo sguardo sulla scatola che anche lui teneva in mano. Sì, se nera
accorto.