Ciò che si
presentava al di sotto del cavalcavia non era uno spettacolo piacevole.
Com'era possibile che un solo veicolo fuori controllo avesse potuto originare un simile
disastro? L'asfalto reso viscido dalla pioggia anche in piena estate?
Inverosimile dunque, ma quale ne fosse la causa, era un incidente dai risvolti drammatici.
Con le ambulanze bloccate nel traffico, l'unica strada praticabile passava per una
passerella di servizio; così i soccorritori, indossate le attrezzature da alpinismo, si
erano calati con le corde, trasportando a spalla estintori, maschere a ossigeno, barelle e
defibrillatori.
Ora correvano tra i rottami ardenti, cercando di liberare i corpi dalle lamiere, di
confortare i superstiti ancora in stato di shock.
Intanto il cavalcavia si era popolato di curiosi, le spallette affollate come loggioni a
teatro il giorno della prima.
Qualcuno indicò un grosso mattone sbreccato sulla carreggiata, elemento alieno nella
scena del disastro: la sua impronta coincideva con la ragnatela sul parabrezza della prima
vettura incidentata. Altri "proiettili" sulla corsia disegnavano lo scenario di
uno spietato tiro a segno.
Inquietante alla mente nasceva il dubbio che proprio tra le persone che premevano per
osservare lo spettacolo della morte in diretta si nascondeva colui che aveva scatenato
tale inferno.
Un ragazzino costretto ad un rito iniziatorio?
L'anziano fuori di testa e astioso verso il mondo intero?
Lo scalcinato giornalista di cronaca locale in cerca dello scoop?
Ipotesi su di un assassino.
Ma forse, molto più semplicemente, era solo l'ennesimo, cupo, segno dei tempi.
L'eliambulanza tardava ad arrivare e la folla dei curiosi, impaziente - come a dire
affamata d'orrore - cominciò a premere sulle transenne.
"Noi dobbiamo vedere!", dicevano a denti stretti e sembrava quasi mormorassero:
"Noi abbiamo fame!".
Le loro mani, sollevate in avanti, sporche rosso mattone, erano il segno di un indicibile
coinvolgimento.
Sbavando continuavano ad avanzare.