Il cacciatore le tiene la balestra puntata dritta al cuore, eppure esita a scoccare il letale dardo dalla punta d’argento, in un gesto di infinita codardia o di grande umanità. La macilenta strega lo fissa negli occhi, con uno sguardo nel quale non si leggono né supplica né resa, bensì semplice accettazione di quanto il destino ha in serbo per lei.
Il cacciatore appoggia la balestra sul tavolo della povera casetta in mezzo ai boschi, il rifugio della strega. Il doverla uccidere lo ripugna, eppure anche il consegnarla ancora viva all’inquisizione è un pensiero altrettanto inquietante. Le strapperebbero le unghie con le tenaglie per farla confessare, oppure si inventerebbero altre torture, mille volte peggiori della morte. Questo gli è per la prima volta inaccettabile.
Afferra una corda per legarla strettamente, usando nodi complessi da sciogliere, imparati durante la sua esperienza di cacciatore di demoni. Vuole essere certo che la sua preda non possa fuggire, perché lui ha bisogno di uscire al più presto da quel posto maledetto: deve prendere una decisione e vuole concedersi tutto il tempo necessario, mentre il sole tramonta e si profila una lunga notte per gelidi pensieri.
E il cacciatore ricorda.
Il cacciatore è ancora un semplice bracconiere e si aggira nella riserva reale in una notte di luna piena. I capelli ora radi e ingrigiti sono ancora folti e scuri, l’arma che impugna è un lungo arco, la freccia incoccata ha una semplice punta metallica. Solo l’istinto da predatore è uguale, oggi come allora. Tuttavia in quel momento è sulle tracce di uno splendido quanto comune cervo, infatti deve ancora conoscere appieno la via dell’oscurità.
Il mero cacciare di frodo è infatti destinato a rimanere l’azione più nobile della sua vita.
Il bosco è silenzioso, eppure il bracconiere è certo di essere vicino alla propria preda, quindi i suoi sensi sono in allerta. L’improvviso e stridulo canto di un uccello notturno smorza senza per questo rendere indistinguibile il lieve fruscio proveniente da un vicino cespuglio. E’ un presagio di morte, tuttavia il bracconiere non conosce la paura, quindi tende l’arco preparandosi a colpire. Qualcosa emerge infine dall’oscurità, non per fuggire ma per attaccare.
Il bracconiere ha appena il tempo per scoccare la freccia. Grazie ai suoi riflessi allenati dalla caccia, colpisce il bersaglio che nonostante ciò prosegue nel proprio balzo spietato da creatura d’incubo. E’ un licantropo quello che affonda le zanne nel braccio sinistro del cacciatore, sollevato a proteggere la gola dal morso mortale. La bestia è superiore all’uomo per forza, velocità e ferocia, tuttavia la lotta per quanto impari prosegue per qualche interminabile istante, durante il quale alle carni dilaniate del braccio corrisponde una ferita da pugnale inferta al ventre della belva.
E poi l’oblio, di poco soltanto diverso dalla morte che lui è solito dispensare con tanta generosità.
Il bracconiere rinviene, convinto di risvegliarsi nei tormenti dell’inferno, invece a incrociare il suo sguardo trova due caldi occhi castani. Essi si rendono portatori di una gentilezza sconosciuta, che lui si ritrova incapace di ricambiare, di un’oasi di pace nell’oscurità: da quel momento in poi, essi sono destinati a raggiungerlo nei suoi sogni.
Ritrovandosi imprigionato al proprio giaciglio, subito strattona le catene che lo legano, ma invano.
E’ stato morso dal licantropo, gli spiega la giovane al suo capezzale, la sua guaritrice. L’ha salvato da morte certa, gli ha fasciato le ferite inferte dalla belva, ma nella notte di plenilunio deve avvenire la trasformazione. Così lei deve lasciarlo solo per qualche ora, ad affrontare un destino di sofferenza tale da non poterne serbare ricordo.
Giunge l’alba e l’amore ha vinto sull’odio, la sete di sangue è scomparsa. Il bracconiere pensa che la luce del suo nuovo sole possa sostituirsi all’altrettanto novella tenebra portata dalla luna.
Ma la guaritrice è categorica. Concedersi a lui annullerebbe i suoi poteri, mentre lei ha una missione da compiere: il dover salvare anche altri le impedisce di dare ulteriore amore alla stessa persona. Può soltanto donargli un amuleto, quando lui vorrebbe il suo cuore. Quell’amuleto deve diventare la protezione contro il lato oscuro; lo deve portare per sempre legato al collo da un sottile laccetto di cuoio. Impedisce la trasformazione in licantropo, eppure diventa anche il simbolo dell’infrangersi dei suoi sogni, accompagnato dall’ultima carezza della guaritrice.
Giunge il tramonto e l’odio vince sull’amore, la sete di sangue è tornata. Il bracconiere abbandona la casa nel bosco per diventare infine uno spietato cacciatore di demoni, per sempre incapace di sconfiggere i propri.
E il cacciatore ritorna al presente.
Senza una parola, il cacciatore torna nella casetta e scioglie infine i legami che tengono imprigionata la strega.
La libera senza attendersi un ringraziamento, che in effetti non arriva. Lei si incammina incespicando verso la porta, senza voltarsi indietro. Ma lui ha un ripensamento, afferra la balestra, prende la mira e scocca il dardo, proprio mentre la strega si trova nello specchio della porta. La colpisce alle spalle, trafiggendole così vigliaccamente il cuore. Lei muore all’alba, accasciandosi al suolo senza un solo lamento, nell’esatto momento del sorgere del sole.
Il cacciatore ha agito d’istinto. Ora è realmente confuso per quello che ha fatto ma, se anche lo sfiora l’ombra del dubbio e del pentimento, ha iniziato un lavoro e deve completarlo, pur chiedendosi come la stessa gentile fanciulla conosciuta tanto tempo prima sia potuta passare dalla parte dell’oscurità. E quel dubbio erode qualsiasi certezza.
La domanda successiva è inevitabilmente come possa un cuore di tenebra essere al servizio della luce. Il cacciatore, ormai tormentato dal dubbio, è incapace di trovare una risposta.
Appoggiando la staffa della balestra al suolo, ne infila il piede dentro per tendere la corda. Poi inserisce il secondo dardo, completando il caricamento dell’arma per fare quanto la sua anima perduta comanda.
Perché solo con l’argento si uccidono i demoni. Così il cacciatore sfiora con le dita l’amuleto, quindi scioglie il nodo del consunto legaccio di cuoio, e infine silenziosamente chiede per la prima e unica volta perdono.