Era una
bellissima giornata dinizio autunno. Laria frizzante, pulita. Il sole,
lentamente, si adagiava allorizzonte dietro le dolci e verdeggianti colline. Nei
colori del crepuscolo contemplavo un paesaggio straordinariamente unico, e una gran quiete
permeava il mio animo.
Lasciai alle spalle linferriata ed entrai nel cimitero. Mi diressi alla tomba del
mio caro amico Gabriel, morto poco meno di un mese fa, barbaramente trucidato a colpi di
accetta da un maniaco di cui non si aveva traccia. Ero ancora avvolta nel piacevole
torpore di quel magnifico tramonto, che non mi accorsi che era già quasi buio. Non che
avessi paura, però affrettai il passo e cominciai a guardarmi intorno circospetta, come
se fossi seguita o spiata.
Non avevo bisogno di vedere la foto di Gabriel al sepolcro per ricordare il suo volto
dolce e sorridente. Forse il mio cuore cullava per lui un sentimento che andava oltre la
semplice amicizia, ma ormai quel fiore era chiuso dentro una bara in legno circondata da
cemento, e di Gabriel non avrei avuto più nulla, oltre al ricordo.
Come sa essere crudele la vita. Spesso mi chiedo quale sia il vero senso di essa: perché
un disegno nascosto e grandioso dovrà pur esserci. Non può finire tutto con la morte; un
corpo in putrefazione che diverrà poi cenere. No! Non può essere.
Baciai la lapide di Gabriel, feci il segno della croce e mi affrettai ad uscire dal
camposanto. Era buio ormai. Nel cielo si accendevano le prime stelle, i lumicini delle
lampade votive illuminavano la mia anima quieta e la sua ombra. Non potevo aver paura del
luogo in cui, presto o tardi, le mie spoglie terrene avrebbero dimorato per sempre. Poi
una mano fredda sulla spalla e una voce afona mi destarono.
I morti ti prenderanno Barbara. Attenta! Ti prenderanno...