Trent'anni

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2008 - edizione 7

Il buio che invade i miei occhi, accecandoli. Il freddo e sottile sudario che l’umidità posa sulla mia pelle. Odio questa cella, la odio a morte. Eppure sono costretto qui, relegato in quest’ostile angolo di mondo senza che possa far niente per liberarmene. Maledetta cella e maledetto colui che mi ci ha messo.
Assassino. E’ un assassino. Ha sgozzato la sua donna e poi se n’è andato a mangiare, come se nulla fosse. Quando l’ho arrestato, alla tavola calda giù in via Vico, mi ha chiesto di lasciargli finire la cena. Un pazzo, solamente un pazzo potrebbe comportarsi così. Alla centrale gli ho fatto assaggiare il mio manganello e lui ha confessato, ha ammesso l’omicidio con agghiacciante freddezza. Poi il mio randello è sceso sulle sue costole, ancora, con rabbiosa violenza e sana soddisfazione e lui mi ha maledetto. Ha promesso che me l’avrebbe fatta pagare. Povero stupido, marcirai in galera, ho pensato in quel momento.

Al processo tutto è filato liscio come l’olio, quel mostro ha avuto la condanna che meritava. Ma poi, prima di essere portato via, mi ha allungato la mano, come se volesse perdonarmi delle percosse subite. Io gli ho dato la mia. Un flash, un lampo bianco. E poi mi sono trovato a guardarmi, come allo specchio. Quello che i poliziotti portavano via non era lui, ero io, o meglio, ero io dentro di lui, nel suo corpo.
Quel mostro se n’è andato via tranquillo e ora penso con estremo orrore che sia a casa mia, a scoparsi mia moglie e a mangiare il mio pasto caldo.
Lo ammazzerò, non appena esco da qui, lo farò di certo. Dopotutto, trent’anni da aspettare non sono molti quando hai un motivo per uscire.

Mauro Fresia