Il buio che
invade i miei occhi, accecandoli. Il freddo e sottile sudario che lumidità posa
sulla mia pelle. Odio questa cella, la odio a morte. Eppure sono costretto qui, relegato
in questostile angolo di mondo senza che possa far niente per liberarmene. Maledetta
cella e maledetto colui che mi ci ha messo.
Assassino. E un assassino. Ha sgozzato la sua donna e poi se nè andato a
mangiare, come se nulla fosse. Quando lho arrestato, alla tavola calda giù in via
Vico, mi ha chiesto di lasciargli finire la cena. Un pazzo, solamente un pazzo potrebbe
comportarsi così. Alla centrale gli ho fatto assaggiare il mio manganello e lui ha
confessato, ha ammesso lomicidio con agghiacciante freddezza. Poi il mio randello è
sceso sulle sue costole, ancora, con rabbiosa violenza e sana soddisfazione e lui mi ha
maledetto. Ha promesso che me lavrebbe fatta pagare. Povero stupido, marcirai in
galera, ho pensato in quel momento.
Al processo tutto è filato liscio come lolio, quel mostro ha avuto la condanna che
meritava. Ma poi, prima di essere portato via, mi ha allungato la mano, come se volesse
perdonarmi delle percosse subite. Io gli ho dato la mia. Un flash, un lampo bianco. E poi
mi sono trovato a guardarmi, come allo specchio. Quello che i poliziotti portavano via non
era lui, ero io, o meglio, ero io dentro di lui, nel suo corpo.
Quel mostro se nè andato via tranquillo e ora penso con estremo orrore che sia a
casa mia, a scoparsi mia moglie e a mangiare il mio pasto caldo.
Lo ammazzerò, non appena esco da qui, lo farò di certo. Dopotutto, trentanni da
aspettare non sono molti quando hai un motivo per uscire.