Il
commissario Serafini era seduto sulla poltrona; le gambe distese sulla scrivania, i piedi
sporgenti dal tavolo.
Tra i denti, stringeva un mozzicone di sigaro che - di tanto in tanto - spostava da un
angolo allaltro della bocca.
Erano ore che ammirava il tappeto di fotografie affisse sulla bacheca della questura.
Volti di ogni specie, di ogni età: maschi, femmine, donne, bambini, bianchi, negri. Ce
nera uno per ogni gusto.
Una cosa accomunava quelle persone: erano scomparse; senza lasciare tracce, né testimoni.
Il telefono squillò, ma Serafini fece finta di niente. Si destò dalloblio e uscì
in strada.
La luna ormai trapuntava il firmamento, brillando in un cielo spruzzato di stelle.
La sagoma del commissario comparve nel bagliore di un lampione. Scura e indefinita, pareva
unombra disciolta nellimmenso cosmo. Nuotò fino a raggiungere una berlina,
parcheggiata lungo un marciapiede. Serafini stava per entrare, quando avvenne
linspiegabile. Le luci, in fondo al viale, si eclissarono; imitate dalle successive.
Il poliziotto strizzò le palpebre, nel tentativo di fendere la cortina di tenebra che
galleggiava al di là della luce morente. Fu allora che la vide. Avanzava a folle
velocità, protetta dal mantello della notte.
Sibilò sotto i finestrini dellauto, frantumandoli in una pioggia di vetri. In
quellistante, un sudario calò sulla vita del commissario.
Luomo distinse quattro teste umane vorticare sullasfalto, sotto il peso di un
corpo impregnato di sudore. Scivolavano via, sostenendo lenorme massa.
In alto, appena sopra a uno scudo di tibie, centinaia di pupille lo ipnotizzarono.
Serafini cadde preda di un dolore privo di confini, culminante in uno stato destasi.
Copulò con milioni di fratelli e sorelle, fondendosi nellunico essere.
Fu un attimo, losceno agglomerato sgommò via; ruggendo da labbra ritagliate in un
volto sporgente dal retrotreno.
Anche Serafini, dunque, era scomparso nel nulla...