L'unica
luce proveniva da un'apertura quadrata all'altezza del pavimento. Lucio si chinò: era un
lungo tunnel, stretto e quadrato; in fondo, si vedeva la luce dell'esterno, e del verde.
Un prato. Degli alberi.
Sicuramente lo stavano ancora inseguendo. Si infilò velocemente nel tunnel. Era così
stretto che dovette strisciare con gli avambracci e le ginocchia. Strisciò più
velocemente che poteva, alzando ogni tanto la testa per guardare verso la fine del tunnel.
Ancora pochi metri e sarebbe stato libero.
Un'ombra nera calò di scatto appena davanti alla sua testa. Era di nuovo al buio. Lucio
allungò la mano e sentì che una superficie dura e liscia bloccava il tunnel. Provò a
spingerla, a farla risalire verso l'alto, a romperla. Niente da fare. Di là non si
passava.
Strisciò all'indietro, ma sentì subito una seconda superficie sotto i piedi. Non poteva
andare avanti, e non poteva andare indietro. Preso dal panico, si girò sulla schiena e
colpì le pareti del tunnel con le ginocchia e con i pugni.
Continuò a colpire finché non fu esausto. Sentì un odore dolciastro che non aveva
notato prima. Stranamente, non aveva più paura. Si sentiva rilassato. Ebbe una sensazione
di movimento, come se tutto il tunnel intorno a lui si muovesse. Chiuse gli occhi.
- E questa, bambini, è la macchina che mette il cibo nelle scatole, in
modo che arrivi fresco nelle nostre case.
Una bambina alzò la mano.
- Signora maestra - chiese la bambina - Gli umani non soffrono quando vengono messi nelle
scatole?
- Gli danno un gas che li fa dormire - spiegò la maestra, con un sorriso che mise in
mostra i suoi lunghi canini appuntiti - Vedete, bambini, questi sono umani da allevamento.
Sono stati fatti nascere apposta per il loro sangue. Non sono umani selvatici, che poi non
esistono nemmeno più.