Te, o
clara caeli Regina, aeterna nobis adiutrix sororque, imploro.
Luca alzò gli occhi e posò lo sguardo dinanzi a sé, nella notte. Assaporò con le
mani il cuoio snervato proteggere le dimenticate pagine dellopuscolo. Ascoltò il
vento soffiare lontano, lambire le sue guance e posarsi soffice su di esse.
Continuò a leggere.
Fac ut in Tui conspectum celeriter veniam, quae humanam nationem lacrimis abstines.
Uno spasmo feroce lo percorse. Non ebbe la fermezza di continuare la lettura, né di
abbandonarla. Vagò con la mente tra le pieghe del tempo, fino a incontrare luomo
dagli abiti sporchi, dal viso scavato, dal puzzo di urina. Lo trovò dove laveva
lasciato quella stessa mattina, allangolo della strada, inginocchiato a chiedere
carità.
Luca si ridestò.
Sdraiato a terra, si contorceva dai bruciori che lo squassavano. Sanguinava dalla bocca.
Il vento lo accudiva, respirava con lui, prendendosi cura dei suoi ultimi battiti di
cuore.
Tornò con gli occhi sulla strofa.
Te, Mors, tenebrosa mater, aeterna filia, exposco.
Ripeteva i lemmi tra le labbra semichiuse, come con le preghiere di un rosario.
Te, Mors, tenebrosa mater, aeterna filia, exposco.
Te, Mors...
Nel travaglio vide il vecchio e il vento cessò.
- Poche monete per mangiare, mi salverete dalla morte.
Furono le sue parole, ora come allora, giù allangolo della strada.
Te, Mors, tenebrosa mater, aeterna filia, exposco.
Te, Mors...
- Poche monete per aiutarmi e avere in cambio questo libricino.
Il vecchio scomparve e luomo morì.
Una folata salzò improvvisa e strappò il messale dalle mani di Luca. Il vento
sfogliava le pagine, tutte bianche eccetto una.
Il frusciare della carta suonava come una litania, uninvocazione:
Te, o clara caeli Regina, aeterna nobis adiutrix sororque, imploro.
Fac ut in Tui conspectum celeriter veniam, quae humanam nationem lacrimis abstines.
Te, Mors, tenebrosa mater, aeterna filia, exposco.