Ogni strada
sembra uguale in questa dannata città: case basse, marciapiedi malmessi e ovunque una
leggera nebbia. In giro nessuno, tranne luomo che sto seguendo.
Non so come si chiami questo posto. Neppure ricordo di esserci arrivato. È come se mi
fossi appena svegliato.
O forse appena addormentato.
Alle mie spalle scorre un fiume. Mi accorgo di essere bagnato. Quelluomo forse mi ha
salvato dallannegamento?
Camminiamo, per un tempo infinito, lungo strade anonime. Odo voci disperate. Credo
invochino perdono.
Finalmente luomo si ferma, si volta e mi guarda con occhi di
brace: «Qui!»
Vorrei chiedergli dove siamo, ma lui è scomparso.
Poi un cigolio. Una porta si apre e una piccola mano rugosa si poggia sul mio braccio. Una
vecchietta, alta la metà di me, è sulla soglia di un vecchio appartamento che dà sulla
strada.
Mi guarda come se avesse perso la via di casa.
«Come si fa il brodo?» chiede.
Temo di non aver capito: «Scusi?»
«Non ricordo la ricetta. Mi puoi aiutare?»
Entro nella sua abitazione. Laria odora di solitudine.
«Metta in una pentola sale, carote, cipolla, sedano, carne...»
«Lo scrivi?»
Mi porge foglio e penna. Sto scrivendo: sale, carote.
Colgo un movimento veloce con la coda nellocchio.
Subito dopo la mia mano è sul ripiano, staccata dal braccio.
Urlo.
Un altro colpo secco con un enorme coltello da cucina: perdo laltra mano.
«Scusa», dice lanziana donna, «mi serviva la carne».
Sono in ginocchio. Il sangue sgorga a litri dai polsi.
Improvvisi mi tornano in mente i miei peccati.
La prima vecchietta la uccisi affogandola nel brodo che lei stava cucinando. Era mia
nonna.
«Volevo solo liberarle dalle loro miserie. Perdonami» balbetto.
La donna, mentre mi strappa i bulbi oculari, risponde: «Troppo tardi. La misericordia non
abita qui».