Il buon brodo di mia nonna

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2008 - edizione 7

Ogni strada sembra uguale in questa dannata città: case basse, marciapiedi malmessi e ovunque una leggera nebbia. In giro nessuno, tranne l’uomo che sto seguendo.
Non so come si chiami questo posto. Neppure ricordo di esserci arrivato. È come se mi fossi appena svegliato.
O forse appena addormentato.
Alle mie spalle scorre un fiume. Mi accorgo di essere bagnato. Quell’uomo forse mi ha salvato dall’annegamento?
Camminiamo, per un tempo infinito, lungo strade anonime. Odo voci disperate. Credo invochino perdono.

Finalmente l’uomo si ferma, si volta e mi guarda con occhi di brace: «Qui!»
Vorrei chiedergli dove siamo, ma lui è scomparso.
Poi un cigolio. Una porta si apre e una piccola mano rugosa si poggia sul mio braccio. Una vecchietta, alta la metà di me, è sulla soglia di un vecchio appartamento che dà sulla strada.
Mi guarda come se avesse perso la via di casa.

 

«Come si fa il brodo?» chiede.
Temo di non aver capito: «Scusi?»
«Non ricordo la ricetta. Mi puoi aiutare?»
Entro nella sua abitazione. L’aria odora di solitudine.
«Metta in una pentola sale, carote, cipolla, sedano, carne...»
«Lo scrivi?»
Mi porge foglio e penna. Sto scrivendo: sale, carote.
Colgo un movimento veloce con la coda nell’occhio.
Subito dopo la mia mano è sul ripiano, staccata dal braccio.
Urlo.
Un altro colpo secco con un enorme coltello da cucina: perdo l’altra mano.
«Scusa», dice l’anziana donna, «mi serviva la carne».
Sono in ginocchio. Il sangue sgorga a litri dai polsi.
Improvvisi mi tornano in mente i miei peccati.
La prima vecchietta la uccisi affogandola nel brodo che lei stava cucinando. Era mia nonna.
«Volevo solo liberarle dalle loro miserie. Perdonami» balbetto.
La donna, mentre mi strappa i bulbi oculari, risponde: «Troppo tardi. La misericordia non abita qui».

Angelo Frascella