Gianni
riprese in mano il foglio di giornale spiegazzato.
Se lo appoggiò sulle gambe, lisciandolo con dita tozze e tremanti.
Controllò unaltra volta che il numero corrispondesse e tirò un profondo sospiro.
Neanche stessi andando a morire, pensò, osservando il civico 54 fuori dal
finestrino, in rilievo di fianco al portone.
Stava iniziando a rannuvolarsi e le ombre strisciavano sui muri come ragni silenziosi.
Sudato, nonostante laria condizionata sparata al massimo nellabitacolo della
Golf, Gianni si chiese se fosse veramente quella la soluzione a tutti i suoi problemi.
«Una scopata e ti dimentichi tutto, giusto?», aveva detto Luca il giorno prima, mentre
gli assestava una poderosa pacca sulle spalle, tra le risate dei colleghi.
Dimenticare cosa?, si chiese ora, con una punta di autocommiserazione. I miei
trentanni su questa terra come se fossi di passaggio? O il fatto che lunica
ragazza che abbia davvero preso in considerazione non ha fatto altro che illudermi per poi
smerdarmi davanti a tutti? Oppure il lavoro del cazzo che sono costretto a sopportare per
potermi permettere quello splendido monolocale che condivido con una simpatica famigliola
di scarafaggi?
Le prime gocce di pioggia ticchettarono sul parabrezza, quasi malinconiche.
Al di fuori del microcosmo che si era creato (anche se considerare microcosmo
una scatola di lamiera era una delle cose più patetiche che si potessero fare) le persone
correvano, cercando riparo.
Gianni sbuffò e tornò a concentrarsi sul rettangolo di giornale. Laveva ritagliato
lui stesso la sera prima. E come si era sentito stupido con quel paio di forbici in mano,
chino sul tavolo, la lingua che spuntava dallangolo della bocca mentre, con le lame,
seguiva il contorno dellannuncio con precisione quasi maniacale.
E poi, la lampada accesa, Mozart in sottofondo, il cuore che scalciava nel petto come un
bambino indispettito.
Già. Non era solo la precisione a essere maniacale.
Ora, ripensando allimbarazzo dimostrato durante la telefonata, allondata di
calore che lo aveva fatto avvampare quando aveva sentito quella voce così morbida, così
sensuale e ai rantoli che gli erano usciti dalla bocca mentre si sforzava a parlare e non
ci riusciva (neanche avesse ingoiato una pallina da tennis), la tentazione di prendersi a
pugni da solo era molto forte.
Cercò di darsi un contegno schiarendosi la voce con un gorgoglio inutile e passandosi la
mano sulla faccia fresca di dopobarba alla menta.
Controllò lorologio, un vecchio Casio - o meglio, la copia di un vecchio Casio -
trovato in un uovo di Pasqua chissà quanti anni prima. Segnava le 10:16.
Ancora meno di un quarto dora allevento che avrebbe rappresentato la soluzione
dei suoi problemi. O almeno di una parte di essi.
Era nervoso. Come si può essere nervosi al primo appuntamento. Lansia,
linsicurezza, la paura di un rifiuto.
E che cazzo. Pago 200 euro per questo appuntamento. Il rifiuto non è
nemmeno contemplato, si disse, sentendosi ancora più stupido.
Unaltra rapida occhiata al ritaglio di giornale, forse per verificare che
lindirizzo, nel frattempo, non fosse cambiato.
No. Era sempre quello. In unora e passa di attesa era rimasto invariato. Che
fortuna.
Via De Gasperi, 54.
Appallottolò il foglio e se lo mise in tasca.
«Bene» esclamò, a metà strada tra un sospiro e uno sbuffo. «Bene, bene, bene.»
Posizionò il suo faccione rotondo davanti allo specchietto retrovisore e si lisciò i
capelli ingellati allindietro, con il palmo delle mani. Una mucca non avrebbe potuto
leccarlo meglio.
Per un attimo - ma fu veramente solo un attimo - si chiese se non fosse il caso di andare
a comprare un bel mazzo di rose rosse, ma lidea tramontò nel momento stesso in cui
si accorse di averla pensata. Già il vestito a giacca rispolverato per loccasione
dopo anni di ripostiglio poteva sembrare unesagerazione; le rose sarebbero risultate
davvero eccessive. Troppo.
Non dimenticarti che è una puttana!, gli ricordò una voce dentro la testa.
Si rese conto che tutte queste paranoie non erano altro che dei subdoli tentativi del suo
subconscio di ritardare il più possibile il momento. Il suo momento.
Più passava il tempo e più si sentiva stupido, fuori luogo.
Allesterno - nel mondo reale - la pioggia stava calando di intensità, dopo la
sfuriata iniziale. Il classico temporale estivo, gli fece notare la solita voce,
petulante.
Gianni controllò dagli specchietti laterali che la macchina fosse perfettamente
parcheggiata allinterno della segnaletica stradale. Non aveva certo intenzione di
prendersi una multa. Il posteriore destro, in effetti, sporgeva di qualche centimetro.
Forse avrebbe potuto raddrizzarlo con una semplice manovra e...
«No!», sbottò ad alta voce, senza rendersi conto di star quasi stritolando il volante.
No, ripeté mentalmente, cercando di riprendere il controllo.
Distese le dita, muovendole per riattivare la circolazione. Inclinò la testa da una parte
e dallaltra, facendo schioccare le vertebre del collo, soffiò fuori dalla bocca
qualcosa come dieci metri cubici di aria e, finalmente, si decise ad aprire la portiera e
a uscire, con ben tre minuti di anticipo rispetto alla sua tabella di marcia virtuale.
«Tu devi essere Gianni.» La ragazza appoggiata allo stipite della
porta era lessere che più si poteva avvicinare alla definizione di dea.
«Prego, entra.»
Sentire la sua voce al telefono era stata unesperienza quasi mistica, ma adesso, dal
vivo, cazzo, era tutta unaltra storia.
Un po come ascoltare Chopin live, altro che quegli stupidi cd
ri-arrangiati, fu la prima cosa che gli venne in mente. Decisamente stupido, come
pensiero.
Gianni deglutì a vuoto, farfugliò qualcosa di incomprensibile e, dopo un minuto dilatato
allinfinito, varcò la soglia.
Nel frattempo, Sammie (che nome da vacca!, lo incitò la voce, euforica, questa
volta) aveva raggiunto un lettino, posizionato al centro della stanza, e si era girata a
fissarlo, con due occhi da gatta.
Gianni fece un paio di passi in avanti, registrando mentalmente alcuni particolari attorno
a lui. Il poster locandina di Moulin Rouge. Lappendiabiti di ferro
battuto. Il tappeto zebrato.
E Sammie. In tutto il suo splendore.
Indossava un camice bianco da infermiera (da infermierina porca!, venne corretto
immediatamente) molto, troppo scollato e il seno (sono rifatte, ma chissenefrega,
urlò la voce, come impazzita) sembrava premere per uscire.
Ora se ne stava con le mani appoggiate al bordo di ferro del lettino, e teneva il sedere
leggermente allinfuori.
Lo stava provocando, era evidente.
Mosse un braccio e senza volerlo (senza volerlo una sega. Lha fatto
apposta!) le si slacciò un altro bottone.
(Guarda. Un capezzolo!)
Gianni si passò la lingua sulle labbra aride e inghiottì il nodo che gli ostruiva la
gola.
«Vogliamo iniziare?» chiese Sammie, picchiettando il materasso con il palmo della mano.
La voce, calda e avvolgente, sembrava provenire da anni luce di distanza.
Gianni fissò il lettino senza vederlo veramente.
Era ipnotizzato da quella mano che si muoveva su e giù, invitante. Aveva dita affusolate,
con unghie lunghissime, laccate di viola.
Chissà che cosa era capace di fare con quelle mani.
Fra un po te lo farà vedere lei di che cosa è capace, sussurrò la voce,
sempre più eccitata.
«Yu-huuu.»
«Hu?» fece lui, disorientato. Doveva apparire come il più stupido degli idioti.
«Ho capito. Hai solo bisogno di una spinta», sussurrò Sammie, pacata. Sembrava non
notare il suo imbarazzo. Gli andò incontro lentamente, ondeggiando quel fantastico
fondoschiena. A Gianni venne in mente Charlize Theron nella vecchia pubblicità della
Martini.
Un profumo delicato lo avvolse come un mantello di seta. Per poco non svenne, ma si
sforzò di rimanere lucido. Non avrebbe fatto una gran bella figura se fosse collassato
lì davanti, crollando a terra come un sacco di cemento.
Lei gli appoggiò una mano sul petto, gli passò dietro con una giravolta, come se fosse
alle prese con un palo da lap-dance, poi ricomparve davanti a lui e iniziò a sbottonargli
la camicia, muovendosi al ritmo di una musica immaginaria.
Avvicinò la bocca al suo petto, tirò fuori la punta della lingua e iniziò a tracciare
spirali umide sulla pelle, mentre camicia e giacca volavano per terra.
Qualcosa, nei paesi bassi, aveva iniziato a muoversi. Diavolo, il soldatino era già
scattato sullattenti senza farsi pregare più di tanto.
Sammie sembrò rendersene conto e, sorridendo maliziosa, gli affondò le unghie nella
schiena, facendola sanguinare.
«Ti voglio. Adesso», disse, come invasata. Iniziò a dimenarsi furiosa, graffiando,
pizzicando, tormentando la povera schiena di Gianni, ridotta ormai a un campo arato.
Afferrò il ragazzo per una mano e lo condusse verso il lettino. «Vieni. Non resisto
più.»
Gianni si sdraiò, rabbrividendo per il contatto con il metallo freddo sulla pelle nuda.
Stava per aprire la bocca per chiedere se i soldi li doveva tirare fuori subito oppure
dopo, ma lei gli appoggiò un dito sulla bocca, zittendolo.
«Ora ci divertiamo», sentenziò, facendogli locchiolino.
E gli sfilò i pantaloni.
Lina entra nella stanza, ancheggiando. Lodore è molto
pungente e le solletica le narici, ma ormai ci è abituata e non ci fa più molto caso.
Sul lettino, il corpo nudo di un uomo, la pelle bianca e flaccida. In alcuni punti, la
carne è stata strappata a morsi e il rosso del sangue risalta come un fiore di camelia
appena sbocciato.
«Ti sei data da fare, eh?» chiede a Samantha, intenta a ispezionare il portafogli della
vittima.
«Duecento sacchi contati, non un centesimo di più. Barbone», sputa fuori. Ha i lati
della bocca ancora striati di sangue, come se le fosse scappata la mano mentre si metteva
il rossetto. «Lavevo visto subito che era uno sfigato. Ho una specie di sesto
senso, io.»
Lina si avvicina alla sedia, dove sono ammucchiati i vestiti e inizia a frugare.
«Che fai?»
«Mai lasciare niente al caso», sentenzia, con fare da maestrina. «Non hai idea di
quello che possono nascondersi addosso questi cretini. Pensa che il mese scorso mi è
capitato per le mani un bel Daytona direttamente dal taschino della camicia.»
«Non mi hai mai detto di aver trovato un Daytona...»
«Ops, deve essermi sfuggito», fa Lina ridendo.
«Puttana.»
«Grazie altrettanto» Butta per terra la camicia e passa ai pantaloni. «Ehi, guarda
qui», esclama, dispiegando la pallottola di carta.
Samantha le va incontro, incuriosita. «Ah, quello.»
«Ne sai qualcosa?» chiede Lina, dando una rapida occhiata al volantino.
«Qualcosa. Può essere», risponde Samantha, un sorriso malizioso che le increspa gli
angoli della bocca. Sembra il clown di un circo dellorrore.
Lina scoppia a ridere. « Massaggi erotici e sensuali?» dice, leggendo sul
foglio.
«Beh, ho pensato che un po di pubblicità non avrebbe guastato...»
«E hai fatto benissimo» Appallottola nuovamente il pezzo di carta e lo butta per terra,
vicino a una pozza di sangue quasi rappreso. «Certo che... massaggi? Andiamo.
Quella emme in più potevi risparmiartela. Qualche idiota potrebbe anche
cascarci.»