Quel
pomeriggio Christina si sentiva davvero depressa. Delusa di se stessa.
Linaugurazione della sua galleria darte, la sera precedente, era andata male.
Gli amici, durante laperitivo non si erano risparmiati nemmeno una critica negativa.
Le sue opere non piacevano, erano considerate mostruose e deprimenti.
Anni di vane fatiche, duro lavoro e notti insonne passate in mansarda a
creare quegli esseri mostruosi a cui lei aveva dato vita.
Aveva passato intere giornate a rovistare tra i rifiuti ingombranti cercando gli oggetti
più adatti per creare le sue fantasiose opere, trasformava anonimi oggetti comuni e
duso quotidiano in veri e propri mostri. Infatti negli anni passati aveva
accalappiato montagne di vecchi manichini dai grandi magazzini della città. Essi venivano
selvaggiamente mutilati e sezionati per poi essere aggiunti alle sue opere.
Creava macabri complementi darredo.
Per esempio, aveva modificato una vecchia cassettiera, estraendone le maniglie e al posto
desse aveva incollato le dita di un manchino, laveva dipinta di bianco e
imbrattata di pittura rossa che colava dalle dita come fosse sangue, per non parlare del
tavolino creato con le gambe di plastica con ai piedi ancora eleganti scarpe.
Insuperabile, fu la testa di un manichino trasformata in una macchina per lespresso,
dalla bocca spalancata sgorgava il caffè mentre le orecchie erano state forate per
permettere al vapore di uscire. I suoi amici erano rimasti allibiti e inorriditi da tutto
questo.
Christina delusa quel pomeriggio si era ubriacata.
Unaltra passione di Christina era la moda.
Non mancava mai alle sfilate delle boutique più prestigiose della città e acquistava i
capi dabbigliamento più pregiati e costosi allultima moda. Nel suo immenso
guardaroba possedeva addirittura pezzi unici.
Per lei limmagine contava, anzi era tutto!
Anche la sera dellinaugurazione della sua galleria appariva più bella e sexy che
mai, indossava un elegante abito firmato che avrebbe fatto gola a qualsiasi fanatica
modaiola, ma per quanto attraente fosse nessun uomo si era complimentato con lei.
Verso sera, ubriaca e delusa si diresse nel grande centro commerciale
della città per fare un podi shopping, tanto per tirarsi su un po il morale e
cercare di scaricare le tensioni accumulate la sera precedente.
Con frenesia Christina rovistava fra gli abiti delle boutique, ammirava i vestiti che
sfoggiavano i manichini nelle grandi vetrine e usciva ed entrava di continuo dalle cabine
di prova senza trovare lindumento adatto a lei.
Quando Christina si svegliò la testa continuava a girarle a causa di
tutto quel liquore che si era scolata, il suo braccio destro era dolorante e i suoi occhi
cercavano nelloscurità qualcosa di famigliare. Eppure non riusciva a capire
dovera, e come mai non fosse comodamente a casa sul suo letto.
A fatica si alzò in piedi e a tentoni cercò di individuare gli oggetti che la
circondavano. Si sentiva rinchiusa, era davvero in un piccolissimo spazio e quando le sue
mani tastarono una pesante tenda vellutata capì di trovarsi allinterno di una
cabina di prova.
Si chiedeva per quale motivo attorno a lei ci fossero solamente oscurità e silenzio.
Non cerano luci accecanti, musiche fastidiose e il chiacchierio dei clienti. Tutto
taceva.
Allinizio pensò ad un black out ma ben presto si rese conto di essersi addormentata
ubriaca fradicia nella cabina e ora si trovava chiusa tutta sola allinterno di un
centro commerciale. Sembrava così assurdo che la commessa che aveva chiuso la boutique
non lavesse trovata e lei fosse ancora lì.
Quando finalmente i suoi occhi cominciarono ad abituarsi alloscurità cominciò a
girovagare per il negozio cercando di trovare un uscita senza far scattare il sistema
dallarme.
Latmosfera silenziosa colmava dangoscia Christina.
Le sagome dei manichini che indossavano prestigiosi abiti di Armani avevano davvero delle
sembianze spettrali.
Christina aveva quasi limpressione che fossero vivi e che oscillassero, ma si
rassicurò pensando fosse leffetto della sua sbronza.
Una mano di plastica le sfiorò la spalla facendola sobbalzare.
Quando si voltò impallidì. Un manichino che indossava un elegante abito da sera di
D&G la salutò sventolando la sua rigida mano verso di lei e il suo viso statuario
sorrideva malvagiamente.
Christina cominciò ad urlare quando si rese conto che tutti i manichini della boutique
avevano preso vita. Cercò disperatamente di forzare la saracinesca metallica e con fatica
riuscì a sollevarne un pezzo con lausilio di un appendiabiti e sgattaiolarci sotto.
Corse.
Corse come non aveva mai fatto in vita sua, lungo gli ampi corridoi del centro commerciale
contornato da varie botteghe. Qualche metro dietro di lei i manichini la inseguivano con
mastodontici movimenti meccanici.
Disperatamente cercò di nascondersi fra gli scompartimenti di un
negozio dalimentari.
Silenzio. Tutto taceva.
Un sospiro di sollievo... poi un trillo proveniente dalla tasca dei pantaloni la fece
sobbalzare. Ed ecco che da dietro una gondola apparve un manichino in bikini.
Christina per fuggire e salvarsi gli scaraventò il cellulare colpendolo sul volto e
rompendogli il naso di dura plastica. Ciò non bastò a fermare quel mostro, anzi,
goffamente cercò di correre verso di lei che istintivamente cominciò a colpirlo con
scatole in latta contenti sugo di pomodoro.
A causa dei colpi delle scatole il manichino si ruppe sotto i suoi occhi in vari pezzi
cosparsi di sugo e in quel momento pensò alle sue opere, a tutti i manichini che aveva
mutilato e fatto a pezzi, forse era per questo che quegli stupidi fantocci di plastica si
accanivano su di lei.
Inorridita cercò una via duscita, mentre da ogni angolo
spuntavano manichini viventi.
Una massa di corpi di plastica erano alle sue spalle, si ammassavano, inciampavano
addirittura fra di loro, alcuni perdevano braccia e mani per strada, altri cadevano a
terra e venivano calpestati dalla massa. Alcune teste che avevano perso la parrucca
rotolavano via calve.
Christina inciampò in una di queste e cadde a terra. In pochi secondi la raggiunsero e
lafferrarono per le gambe e le braccia portandola via.
Le sue grida daiuto riecheggiavano nel centro commerciale vuoto mentre la
immobilizzarono per poi soffocarla con un cuscino preso nel reparto casalinghi accanto.
Trasportarono il suo cadavere nella vetrina più vicina, la rivestirono
con un elegantissimo abito firmato e la pettinarono per bene. Il suo corpo era stato
appeso su di un attaccapanni camuffato dal vestito e dalla decorazione della vetrina.
Sul suo volto cadaverico un espressione smarrita nel vuoto.
Eppure i clienti che il giorno seguente scrutarono la vetrina
desiderosi dacquistare un nuovo abito si chiedevano come mai quel manichino
sembrasse tanto vero.
Come mai la sua pallida carnagione sembrasse tanto vellutata, come mai lespressione
tanto umana e come mai le mani tanto perfette.
Quel giorno anche la commessa si chiese come mai la boutique avesse fatto una cifra
daffari simile vendendo fino allultimo pezzo di quellabito.