Certe case, come certe persone, hanno, chissà come, il potere di manifestare immediatamente la loro essenza maligna. Se si tratta di persone, non è detto che a tradirle sia questo o quel particolare del loro aspetto esteriore: può darsi, anzi, che ostentino un volto aperto e un sorriso ingenuo. Ma basta frequentarle anche per poco, e subito si forma in noi la convinzione assoluta che ci troviamo di fronte a creature fondamentalmente «diverse»: che la pasta di cui son fatte è il male. Sembrano respirare, e portarsi appresso (forse a loro stessa insaputa) un'atmosfera così densa di segreta nefandezza che in loro presenza l'uomo comune si ritrae istintivamente, come da un appestato.
Ciò vale, forse, anche per le case ed è il sentore delle sinistre azioni perpetrate sotto quel tetto (e che ancora aleggia dopo la scomparsa dei protagonisti) a farci venire la pelle d'oca e rizzare i capelli in capo. La furia originale dell'omicida e il terrore provato dalla sua vittima, riecheggiano a distanza di anni nel cuore dello spettatore ignaro, che all'improvviso si sente i nervi a fior di pelle e il sangue che gli si agghiaccia nelle vene: senza una ragione tangibile o visibile, il terrore lo ha colto.
Nell'aspetto esteriore di questa particolare casa non c'era il minimo presagio di quelle tregende che (secondo la voce pubblica) si scatenavano nell'interno. Non era né isolata né diroccata. Se ne stava rincantucciata in un angolo della piazza, simile in tutto alle case adiacenti. Uguale era il numero delle finestre, uguale il balcone sovrastante i giardini, uguali i candidi gradini che conducevano alla porta d'ingresso nera e massiccia; dietro la casa c'era la stessa strisciolina di prato nitidamente incorniciata di bosso, che correva fino al muro divisorio dei contigui cortiletti posteriori. Uguali erano anche il numero dei comignoli sul tetto, il diametro e l'inclinazione delle grondaie e perfino l'altezza delle fuligginose cancellate del seminterrato.
Eppure questa casa sulla piazza, in apparenza così simile alle sue cinquanta squallide vicine, era in realtà profondamente diversa, orribilmente diversa.
È impossibile dire in che cosa consistesse questa diversità tanto evidente e insieme tanto inafferrabile. Non si può credere che fosse frutto di pura fantasia, perché varie persone che l'avevano visitata senza conoscere gli antefatti affermavano che certe camere erano così sinistre che avrebbero preferito morire piuttosto che rimetterci piede, e che l'atmosfera generale della casa era tale da susctare un senso di vero e proprio panico; e la lunga serie di inquilini che, dopo aver tentato di abitarvi, erano stati costretti a traslocare in fretta e furia, costituiva ormai poco meno che uno scandalo locale.
Quando Shorthouse venne a passare un week-end dalla zia Julia nella sua casetta in riva al mare, all'altro capo della città, trovò la vecchia signorina in uno stato di grande eccitazione. Aveva ricevuto il telegramma di lei solo quel mattino ed era venuto a malincuore, preparato alla noia. Ma non appena le strinse la mano e si chinò a baciarle la guancia grinzosa come una buccia di mela, si accorse che la zia era addirittura elettrizzata. Quando seppe che non c'erano altri ospiti i suoi sospetti si fecero certezza: era chiaro che il telegramma gli era stato mandato con un fine ben preciso.
C'era qualcosa nell'aria, e quel «qualcosa» avrebbe certamente dato i suoi frutti, poiché quell'attempata zitella, maniaca degli studi metapsichici, era dotata di cervello e di volontà, e in un modo o nell'altro riusciva sempre a raggiungere i suoi fini. La rivelazione giunse subito dopo il tè, mentre passeggiavano lentamente, fianco a fianco, sul lungomare, verso l'ora del crepuscolo.
- Ho le chiavi, - disse zia Julia con una voce vibrante di gioia e insieme di timore. - Sono mie fino a lunedì.
- Le chiavi della cabina a ruote o quelle... - domandò lui con fare innocente, levando gli occhi dalla lama del mare verso la città. Nulla la stimolava a parlare quanto una simulata ottusità.
- No, no, - rispose in un soffio. - Ho le chiavi della casa degli spiriti, quella della piazza: e ci vado stasera.
Shorthouse senti un brivido quasi impercettibile corrergli per la schiena. Il suo tono perse ogni ombra d'ironia. Qualcosa nella voce e nell'atteggiamento di lei lo fece fremere. La vecchia parlava sul serio, era evidente.
- Ma non puoi andarci da sola... - incominciò.
- È per questo che ti ho telegrafato, - rispose lei.
Egli si volse a guardarla. Il viso sgraziato, enigmatico sotto le rughe, raggiava di un'animazione straordinaria, di un alone febbrile. Gli occhi le sfolgoravano. Suo malgrado Shorthouse si senti percorrere da un secondo brivido, più forte del primo.
- Grazie, zia Julia, - disse. - Grazie davvero.
- Proprio sola non avrei il coraggio di andarci, - continuò lei alzando la voce, - ma con te mi piacerebbe immensamente. Tu non hai mai paura, lo so.
- Grazie, - disse di nuovo lui. - E... tu credi che succederà qualcosa?
- Fin troppe cose sono successe là dentro, - sussurrò lei. - Anche se sono quasi sempre riusciti a metterle a tacere. Tre inquilini si sono avvicendati in questi pochi mesi, e si dice che ora la casa sia definitivamente vuota.
Shorthouse cominciava a interessarsi. La zia aveva un tono di estrema convinzione.
- La casa è vecchissima, - continuò lei, - e la storia, una brutta storia, risale a molto tempo fa: un delitto passionale, commesso da un garzone di stalla geloso che aveva una relazione con una domestica della casa. Una notte riuscì a farsi chiudere in cantina, e quando tutti dormivano si insinuò nelle stanze della servitù all'ultimo piano, spinse la ragazza giù per le scale fino al pianerottolo inferiore, e prima che qualcuno potesse intervenire, la sollevò oltre la ringhiera e la scaraventò nell'atrio.
- E il garzone...
- Fu preso, credo, e impiccato per omicidio. Ma tutto questo avvenne un secolo fa, e non sono riuscita ad avere maggiori particolari.
La curiosità di Shorthouse era ormai desta, ma, pur non essendo particolarmente preoccupato per sé, ebbe qualche attimo di esitazione pensando alla zia.
- Pongo una condizione, - disse alla fine.
- Niente mi impedirà di andarci, - dichiarò lei con fermezza. - Ma sentiamo lo stesso questa condizione.
- Che tu mi garantisca la tua capacità di autocontrollo se dovesse capitare qualcosa di veramente terribile. Voglio dire... devi essere sicura di non spaventarti troppo.
- Jim, - disse lei alteramente, - io non sono giovane, lo so, e neppure i miei nervi lo sono. Ma insieme a te non potrei aver paura di nulla al mondo!
Questo, naturalmente, chiuse l'argomento, giacché Shorthouse non pretendeva di essere niente di più di quel che era, cioè un giovanotto normalissimo, e toccato sul tasto della vanità non poteva restare insensibile. Accettò di accompagnarla.
Istintivamente. Quasi per una precauzione del subconscio, si esercitò per tutta la sera a dominare se stesso e le sue forze, accumulando, per così dire, una riserva di autocontrollo grazie a quel segreto lavorio che consiste nel riporre grado a grado tutte le emozioni e a metterci una pietra sopra; un processo difficile da descrivere, ma efficacissimo, come ben sanno tutti coloro che sono passati attraverso gravi conflitti interiori. Questo gli fu utilissimo in seguito.
Ma soltanto alle dieci e mezzo, quando si trovarono nell'ingresso, nella calda luce delle lampade amiche e ancora avvolti dall'atmosfera cordiale di una casa abitata, egli dovette attingere per la prima volta a questa riserva di forze. Infatti, una volta che la porta fu chiusa ed egli vide la strada deserta e silenziosa aprirsi bianca davanti a loro nella luce lunare, capì chiaramente che quella notte la vera prova sarebbe consistita nell'affrontare due paure invece di una sola. Oltre alla sua, avrebbe dovuto combattere anche la paura della zia. La guardò di sottecchi, intuì che il terrore poteva trasformare quel volto chiuso e teso in una maschera orrenda, e senti che da una sola cosa in tutta quell'avventura gli veniva una certa sicurezza: dalla fiducia che aveva nella propria volontà e capacità di far fronte a qualsiasi emozione futura.
Si avviarono lentamente per le vie deserte della città. Una vivida luna d'autunno inargentava i tetti, scavando ombre profonde. Non c'era un alito di vento, e gli alberi, nei geometrici giardinetti lungo il mare, li guardavano passare in silenzio. Alle rare osservazioni della zia, Shorthouse non rispondeva: capiva che ella cercava soltanto di difendersi, rifugiandosi nelle cose ordinarie per impedirsi di pensare a quelle straordinarie. Poche finestre erano illuminate, e da qualche comignolo salivano fumo e scintille. Shorthouse aveva già cominciato a registrare tutto nei minimi particolari. Finalmente si arrestarono a un angolo per leggere la targa della strada sul fianco di una casa illuminata in pieno dalla luna; poi di comune accordo, ma senza una parola, svoltarono nella piazza e l'attraversarono fino al suo lato in ombra.
- Il numero della casa è il tredici, - sussurrò una voce al suo fianco; nessuno dei due fece l'osservazione di prammatica, ma oltrepassata la larga striscia di plenilunio, presero a risalire in silenzio il marciapiede.
Erano circa a metà della piazza quando Shorthouse senti un braccio che scivolava leggero ma molto espressivo sotto il suo: allora capì che la loro avventura era cominciata sul serio e che la sua compagna stava già cedendo impercettibilmente agli influssi ostili. Aveva bisogno di sostegno.
Pochi minuti dopo si fermarono di fronte a una casa che si stagliava stretta e alta nella notte, brutta di linea e dipinta d'un bianco sporco. Finestre senza imposte e senza persiane li fissavano dall'alto scintillando qua e là sotto la luna e il balcone che sporgeva dal primo piano aveva qualcosa di innaturale. Le intemperie avevano chiazzato la facciata e l'intonaco era pieno di crepe; ma all'infuori di quest'aria di abbandono propria di ogni casa disabitata, non c'era nulla a prima vista che giustificasse la fama sinistra di cui l'edificio godeva.
Dopo un'occhiata alle spalle per assicurarsi che nessuno li avesse seguiti, salirono con passo fermo i gradini e si arrestarono all'enorme porta nera severamente ritta di fronte a loro. Erano tesi, innervositi, e Shorthouse dovette trafficare a lungo con la chiave prima di riuscire a infilarla nella serratura. Per qualche istante, a dir la verità, ambedue sperarono che non si aprisse, poiché, sulla soglia della spettrale avventura, un oscuro turbamento faceva vacillare la loro precedente risoluzione. Shorthouse, sempre armeggiando con la chiave e impacciato dalla mano della zia che gli serrava il braccio, era ben conscio della solennità del momento. Era come se il mondo intero tendesse l'orecchio allo stridore di quella chiave. Un alito isolato di vento, giù nella strada deserta, destò fra gli alberi alle loro spalle un fruscio subito spento; ma a parte ciò nulla se non il rumore della chiave rompeva il silenzio. Finalmente la serratura scattò e la pesante porta si aperse, scoprendo un nero abisso di tenebre.
Con un ultimo sguardo alla piazza immersa nella luce lunare entrarono in fretta, e la porta si richiuse dietro di loro con un tonfo che si ripercosse profondamente nelle vuote stanze e nei corridoi. Ma subito insieme agli echi, un altro suono si fece udire, e la zia Julia si aggrappò così pesantemente a lui che egli dovette fare un passo indietro per non cadere.
Un uomo aveva tossito vicino a loro, così vicino che avrebbero potuto toccarlo.
Shorthouse, che non escludeva neppure l'ipotesi di uno scherzo, alzò subito il bastone e lo agitò in direzione del rumore; ma non incontrò nulla di più solido dell'aria. Sentì accanto a sé l'ansito breve della zia.
- C'è qualcuno qui, - sussurrò la vecchia. - L'ho sentito.
- Sta' tranquilla, - disse lui seccamente. - Era solo la porta.
- Accendi, presto! - implorò lei mentre il nipote, armeggiando con la scatola dei fiammiferi, l'apriva a rovescio facendoli cadere tutti sul pavimento di pietra.
Il rumore, comunque, non si ripeté, né si sentirono passi in fuga, e un minuto dopo avevano in mano la candela accesa, infilata in una scatola di sigari. Quando la fiamma si fece regolare, egli alzò quel lume improvvisato per ispezionare la scena che, a dire il vero, era anche più tetra del previsto; fra tutte le dimore umane non c'è infatti nulla di più desolato di una casa priva di mobili e fiocamente rischiarata, silenziosa, squallida e tuttavia abitata dal ricordo di antiche violenze.
Si trovavano in un atrio spazioso: a sinistra si apriva la porta di un'ampia sala da pranzo; a destra, l'ingresso si prolungava in un lungo corridoio buio che, sempre restringendosi, portava al pianerottolo della scala di servizio. Davanti a loro il grande scalone privo di tappeto saliva con un ampio semicerchio, ovunque immerso nell’ombra tranne in un punto, a mezza rampa, dove la luce lunare, entrando dalla finestra, veniva a formare una candida chiazza sugli scalini. Questo cono di luce emanava una tenue fosforescenza che conferiva a ogni oggetto all'intorno un profilo incerto, infinitamente più suggestivo e spettrale della oscurità completa. I raggi di luna, filtrando, sembravano ritagliare diafani visi dalle tenebre circostanti: e mentre scrutava nell'oscurità profonda pensando ai piani superiori della vecchia casa con la loro fuga di stanze e di corridoi vuoti, Shorthouse si sorprese di nuovo a rimpiangere la protezione della piazza bianca di luna o l'intimo e chiaro salotto lasciato un'ora prima. Ma subito capì quanto fossero pericolosi questi pensieri e sforzandosi di ricacciarli, ancora una volta fece appello a tutte le sue forze per concentrarsi sul presente.
- Zia Julia, - disse con voce forte e severa, - ora visitiamo la casa da capo a fondo. Dobbiamo fare una perquisizione completa.
Gli echi della sua voce si spensero lentamente nella casa, e nell'intenso silenzio che seguì egli si volse a guardarla. Alla luce della candela vide che la vecchia era molto pallida; ma gli lasciò il braccio per un attimo e mettendosi davanti a lui, vicinissima: - Hai ragione. Dobbiamo essere sicuri che non c'è nessuno nascosto. È la prima cosa -. Parlava con sforzo evidente. Lui la guardò con ammirazione.
- Sei sicura di te? Sai che non è troppo tardi per...
- No, no, - bisbigliò lei gettando uno sguardo inquieto verso le ombre che li circondavano. - Sono sicurissima. Una cosa sola...
- Che cosa?
- Devi promettermi di non lasciarmi mai sola; nemmeno per un momento.
- Sì, ma capisci che qualsiasi rumore o apparizione deve essere esaminato immediatamente. Esitare equivale ad aver paura. È fatale.
- D'accordo, - disse lei con un piccolo brivido, dopo un momento di esitazione. - Tenterò...
A braccetto, Shorthouse con la candela gocciolante in una mano e nell'altra il bastone, la zia con il mantello sulle spalle, veri personaggi da commedia per tutti tranne che per se stessi, cominciarono la loro sistematica ispezione.
Furtivamente, camminando in punta di piedi e facendo schermo alla candela perché non rivelasse la loro presenza attraverso le finestre sguarnite, entrarono innanzi tutto nella vasta sala da pranzo. Non c'era ombra di mobili. Pareti nude e brutti camini dalle griglie vuote fissavano il loro sguardo su di loro. Tutto (lo sentivano) reagiva a quella intrusione, tutto sembrava spiarli con occhi ostili.
Una scia di sussurri li seguiva; un corteo di ombre si schierava in silenzio qua e là; alle loro spalle pareva che ci fosse sempre qualcosa in agguato, pronto a cogliere l'occasione per scatenarsi. Impossibile sottrarsi all'impressione che le segrete attività di cui la stanza era teatro fino a un istante prima, fossero state interrotte al loro arrivo, e che ora si attendesse soltanto la loro partenza per riprenderle. Tutto lo spazio interno del vecchio edificio pareva essersi coagulato in una presenza maligna che li ammoniva a desistere dall'impresa, a non occuparsi dei fatti altrui; la tensione nervosa dei due visitatori cresceva ad ogni istante.
Da una grande porta a doppio battente passarono dalla cupa sala da pranzo in una specie di biblioteca, o di saletta, anch'essa avvolta nel silenzio, nel buio e nella polvere, e da qui raggiunsero di nuovo l'atrio nel punto in cui la scala di servizio scendeva al seminterrato.
Una galleria nera come la pece si spalancava ai loro piedi, e qui, bisogna confessarlo, essi ebbero un attimo di esitazione. Ma non più di un attimo. La notte era ancora lunga, la crisi ancora da affrontare, e non potevano indietreggiare proprio ora. La zia Julia inciampò scendendo il primo gradino della scala appena rischiarata dalla candela tremolante, e persino Shorthouse sentì sfumare a dir poco una buona metà del suo slancio.
- Su, avanti, - disse energicamente, e la sua voce precipitò e si perse nei tenebrosi recessi sottostanti.
- Vengo, vengo, - rispose lei con un filo di voce e aggrappandosi al suo braccio con tutte le forze.
Scesero con passo incerto i gradini di pietra, accolti da un soffio di aria umida e maleodorante. La cucina, dove immettevano le scale attraverso uno stretto corridoio, era grande, con un alto soffitto.
Aveva parecchie porte: alcune nascondevano armadi con barattoli vuoti ancora sui ripiani; altre si aprivano su tetri ripostigli, uno più freddo e meno invitante dell'altro. Sul pavimento correvano grossi scarafaggi e a un certo punto, quando i due andarono a urtare contro un tavolo in un angolo, qualcosa che aveva le dimensioni di un gatto balzò giù rapido e zampettando sul pavimento di pietra sparì nel buio. Ovunque si sentiva come una presenza recente, un'impressione di tristezza e squallore.
Lasciando il locale più grande, si diressero verso il retrocucina. La porta era semiaperta, e quando la spalancarono la zia Julia lanciò un grido lacerante che subito tentò di soffocare portandosi una mano alla bocca. Per un istante Shorthouse rimase impietrito, trattenendo il fiato. Ebbe l'impressione che la spina dorsale gli si fosse svuotata e che qualcuno l'avesse riempita di ghiaccio.
Di fronte a loro, e così vicina da poterla toccare, era apparsa la figura di una donna ritta tra gli stipiti della porta. Aveva i capelli scarmigliati, una fissità spaventosa negli occhi, il viso terrorizzato e mortalmente pallido.
Rimase là, immobile, per la frazione di un attimo. Poi la candela tremolò e la donna scomparve - totalmente, istantaneamente - lasciando nel riquadro della porta solo tenebre e vuoto.
- Questi maledetti scherzi della candela, - disse Shorthouse in fretta, con una voce che non sembrava la sua e che riusciva a dominare solo in parte. - Avanti, zia. Non c'è proprio niente.
Se la trascinò dietro. Proseguirono facendo risuonare fieramente i passi, affettando la più grande naturalezza, ma Shorthouse era tutto percorso da un fremito a fior di pelle, come fosse coperto di formiche, e dal peso che il suo braccio doveva sostenere capì che la zia non si reggeva più sulle sue gambe. Il retrocucina era freddo, nudo e vuoto; faceva pensare a una cella di prigione. Provarono le porte e le finestre verso il cortile, ma tutte erano saldamente sprangate. La vecchia gli si muoveva accanto come in sogno. Teneva gli occhi strettamente chiusi e sembrava soltanto seguire la pressione del braccio di lui. E sul suo viso Shorthouse notò uno strano cambiamento, un'espressione nuova, che pure non avrebbe saputo definire.
- Qui non c'è niente, zia, - ripeté in fretta, ad alta voce. Andiamo di sopra a dare un'occhiata al resto della casa. Sceglieremo una camera e aspetteremo là.
Lei lo segui obbediente, tenendosi stretta al suo fianco. Si chiusero alle spalle la porta della cucina e risalirono con un senso di sollievo. Nell'atrio c'era più luce di prima perché la chiazza di luna era scesa più in basso sullo scalone. Con grande cautela cominciarono l'ascesa verso l'oscura volta dei piani, superiori. I gradini scricchiolavano sotto il loro peso.
Al primo piano trovarono due grandi sale da ricevimento, una in fila all'altra, ma l'ispezione non diede alcun risultato. Neanche qui c'era traccia di mobili o di presenze recenti; null'altro che polvere, abbandono, ombre. Aprirono la grande porta a battenti che separava le due stanze; poi, usciti di nuovo sul pianerottolo, si avviarono di sopra.
Non avevano fatto più di dieci scalini quando di colpo, nello stesso istante, si fermarono pietrificati da un nuovo terrore, guardandosi negli occhi attraverso il tremulo alone della candela. Dalla stanza che avevano lasciato pochi secondi prima, veniva, inconfondibile nel silenzio, un sommesso cigolio di cardini. Non c'era dubbio; udirono il tonfo cupo che segue il richiudersi di una porta pesante, poi lo scatto secco della serratura.
- Dobbiamo andare a vedere, - ordinò brusco Shorthouse, voltandosi per scendere. Bene o male la vecchia riuscì a seguirlo, inciampando nell'abito, la faccia livida.
Quando rientrarono nel primo salotto constatarono che la porta a battenti; che avevano lasciata spalancata, era di nuovo chiusa. Senza esitare Shorthouse la riaprì. Si aspettava quasi di trovarsi qualcuno dinanzi: ma non vide che buio, non sentì che aria fredda. Attraversarono le due stanze senza notare nulla di insolito. Vollero allora assicurarsi che la porta non si fosse chiusa da sola, ma dopo diversi esperimenti si dovettero persuadere che non c'era neppure quel tanto di aria da far tremolare la fiamma della candela: la porta non si chiudeva se non sotto una forte pressione. Il silenzio era assoluto; le stanze apparivano del tutto vuote e la casa del tutto tranquilla.
- È cominciato, - gli sussurrò dall'altezza del gomito una voce che a stento egli riconobbe per quella della zia.
Shorthouse chinò la testa in segno di assenso, e trasse di tasca l'orologio per prender nota dell'ora. Mancava un quarto a mezzanotte; Shorthouse si disse che era venuto il momento di segnare nel suo taccuino tutto ciò che era accaduto finora, e si chinò per sistemare la candela sul pavimento. Gli ci volle un certo tempo per metterla in equilibrio contro la parete.
La zia Julia dichiarò poi sempre che in quel momento non lo stava guardando, ma che aveva voltato il capo verso la seconda stanza, dove le sembrava di sentir muovere qualcosa; ad ogni modo furono tutti e due d'accordo nel dire che proprio allora giunse un suono di passi precipitosi e pesanti, sempre più vicini: e un istante dopo la candela si spense!
Ma a Shorthouse, a lui solo, era capitato qualcosa di più, ed egli ha sempre ringraziato la sua buona stella che fosse toccato a lui e non alla zia. Infatti, mentre stava rialzandosi dopo aver sistemato la candela, e prima che questa si spegnesse, un volto umano apparve di colpo davanti al suo, così vicino da permettergli quasi di toccarlo con le labbra. Era un viso stravolto dalla passione: il viso di un uomo di colorito scuro, dai tratti rozzi e con due occhi accesi da un furore selvaggio. Era il viso di un uomo del popolo, senza dubbio già cattivo nella sua espressione abituale, ma nelle condizioni in cui lo vide Shorthouse - deformato, imbestialito dall'ira - traboccava di una malvagità addirittura non umana.
L'aria era immobile; null'altro che quel rumore di piedi in corsa, avvolti in calze o bende; l'apparizione del viso; e il quasi contemporaneo spegnersi della candela.
Suo malgrado, Shorthouse gridò dal raccapriccio e quasi perdette l'equilibrio quando la zia gli si aggrappò con tutto il suo peso in un momento di totale, incontrollabile terrore. La vecchia non aprì bocca, si limitò a stringersi a lui con tutte le sue forze. Ma fortunatamente non aveva visto nulla, doveva aver soltanto sentito quei passi rapidi, perché quasi subito riprese il dominio di sé ed egli poté svincolarsi e accendere un fiammifero.
Al bagliore le ombre dileguarono e la zia si chinò, brancolando alla ricerca della scatola da sigari e della preziosa candela. Scoprirono allora che la fiamma non era stata spenta con un soffio, ma che era stata schiacciata. Lo stoppino era penetrato nella cera, compresso come da qualcosa di liscio e pesante.
Come la sua compagna avesse potuto riprendersi così in fretta dal terrore provato, Shorthouse non lo capì mai bene; ma quella prova di autocontrollo accrebbe ancora la sua ammirazione per il coraggio di lei, e valse d'altra parte a rinvigorire il suo; e Shorthouse, che cominciava a vacillare, gliene fu immensamente grato. Altrettanto incomprensibile era per lui quella manifestazione di forza spiritica di cui erano appena stati testimoni; che si trattasse di uno di quei fenomeni medianici di cui tanto si parlava gli pareva da escludersi; e in ogni caso, anche se lui e la zia erano, senza saperlo, dei medium, la loro presenza aveva al più favorito, ma non certo creato, le forze oscure che già saturavano fino al tetto quella casa misteriosa. Era come procedere con torce accese tra mucchi di polvere da sparo.
Così, cercando di pensare il meno possibile, egli riaccese la candela e salì al piano di sopra.
Il braccio appeso al suo tremava senza posa, e il suo stesso incedere tradiva una certa esitazione, ma proseguirono come se nulla fosse, e dopo un'ispezione senza esito salirono l'ultima rampa di scale che portava alla sommità dell'edificio.
Trovarono lassù un vero alveare di camerette per la servitù, gremite di mobili rotti, sedie impagliate, cassettoni polverosi, specchi incrinati e lettiere decrepite. Le stanze avevano soffitti bassi e spioventi, da cui qua e là penzolavano fitte ragnatele, e finestre minuscole che si aprivano nei muri intonacati alla meglio: un luogo tetro e soffocante che furono lieti di lasciarsi alle spalle.
Scoccava la mezzanotte quando entrarono in una stanzetta del terzo piano, prossima alla sommità delle scale, per tentare di sistemarsi il meno scomodamente possibile per il resto della loro avventura. Era completamente spoglia e si diceva fosse la stanza - allora usata come guardaroba - in cui l'infuriato stalliere aveva inseguito e finalmente raggiunto la sua vittima. Fuori, oltre lo stretto pianerottolo, cominciava l'ultima rampa verso il piano di sopra e le stanze dei domestici che avevano appena ispezionato.
Nonostante il freddo della notte c'era qualcosa nell'atmosfera di quella camera che li indusse ad aprire subito la finestra. Ma non si trattava soltanto di oppressione: era qualcosa di più. Shorthouse tentò di definirlo dicendo che in quella camera si era sentito meno padrone di sé che in qualsiasi altra parte della casa: era qualcosa che agiva direttamente sui nervi, che spegneva ogni energia, che illanguidiva la volontà. Gli bastarono pochi minuti per accorgersi di questa nefasta influenza della stanza, e proprio nel breve tempo trascorso tra quei quattro muri nudi, subì quella totale e inarrestabile emorragia delle forze vitali che fu, per lui, l’esperienza più orribile di tutta la serata.
Appoggiarono la candela sul fondo dell’armadio a muro, lasciandone il battente socchiuso in modo da evitare riflessi che potessero confondere la vista o giochi di ombre sulle pareti e sul soffitto. Poi stesero il mantello sul pavimento e sedettero in attesa, con la schiena appoggiata al muro.
Shorthouse era a due passi dalla porta che dava sul pianerottolo; la sua posizione gli permetteva un buon colpo d’occhio sia sullo scalone che scendeva nelle tenebre, sia sui primi gradini della scala di servizio che portava al piano di sopra; il pesante bastone gli stava accanto, a portata di mano.
La luna era ormai alta sulla casa. Nel riquadro della finestra aperta potevano vedere le stelle, simili a occhi amici che dal cielo li rincuorassero. A uno a uno gli orologi della città scandirono la mezzanotte, e quando i rintocchi dileguarono, il silenzio profondo della notte senza vento tornò a ricoprire ogni cosa. Soltanto lo sciacquio del mare, lugubre e remoto, riempiva l'aria di sordi mormorii.
All'interno della casa il silenzio si fece pauroso. Pauroso, pensò Shorthouse, perché ormai da un momento all'altro poteva esser rotto da suoni forieri di terrore. La tensione dell'attesa si faceva di minuto in minuto più snervante. Parlavano a sussurri, quando parlavano, perché la voce normale prendeva qui un timbro strano e innaturale. Un gelo insidioso, non del tutto dovuto all'ora notturna, invase a poco a poco la stanza facendoli rabbrividire. Gli influssi ostili, quali essi fossero, stavano lentamente soffocando la loro sicurezza, la prontezza dei loro riflessi; le forze venivano meno, e la parola «spavento» andava assumendo un significato nuovo e terribile. Shorthouse cominciò a tremare per la vecchietta che aveva accanto: oltre un certo limite, il coraggio di cui pure non mancava, ben difficilmente sarebbe bastato a salvarla.
Sentì il sangue cantargli nelle vene, e a tratti con tale violenza da impedirgli (così gli parve) di distinguere chiaramente certi altri rumori che cominciavano ad annunciarsi nelle profondità della casa. Ogni volta che concentrava l'attenzione su questi rumori, essi cessavano di colpo. Una cosa era certa: che non si avvicinavano. Eppure Shorthouse non poteva liberarsi dell'idea che qualcosa avesse preso a muoversi nei piani inferiori della casa. Il piano dove c'erano i due salotti le cui porte si erano chiuse da sé era troppo vicino: i rumori avevano qualcosa di più distante, di più fioco. Pensò alla grande cucina percorsa da scarafaggi neri e allo squallore del piccolo retro; ma senza sapersi spiegare perché, gli pareva inverosimile che provenissero di là. Né, d'altra parte, potevano essere fuori della casa.
Poi, all'improvviso, la spiegazione lo colpì come un fulmine, e per un lungo terribile momento ebbe l'impressione che il sangue gli si fosse fermato nelle vene.
L'origine dei rumori non era ai piani inferiori: venivano dall'alto, dalla desolazione di quelle camerette per la servitù, con quei relitti di mobili e i soffitti bassi e le finestre sconnesse, dal piano dove la vittima era stata bruscamente svegliata e inseguita fino alla tragedia.
E non appena scoprì la provenienza dei rumori, cominciò a percepirli più chiaramente. Erano tonfi furtivi lungo il corridoio, passi cauti che entravano e uscivano dalle camere, una dopo l'altra.
Per vedere se anche la zia se ne fosse accorta, Shorthouse volse il capo e gettò uno sguardo sulla figura immobile che gli sedeva accanto. La debole luce della candela, filtrando attraverso la porta socchiusa dell'armadio, proiettava con vivo rilievo contro la parete bianca i forti lineamenti del viso di lei. Ma non fu questo a fargli trattenere il fiato e a fermargli lo sguardo. Qualcosa di straordinario era comparso sul volto della vecchia e sembrava rivestire ogni tratto come una maschera, appianando le rughe profonde e consolidando la pelle fino a renderla perfettamente liscia; qualcosa che conferiva a quel viso - con la sola eccezione dei logori occhi - un aspetto giovanile e quasi fanciullesco.
Shorthouse la fissava senza parola, e il suo sbalordimento era vicino all'orrore, al disgusto. Era, sì, il viso della zia, ma il viso di quarant'anni prima, un viso senza storia, un viso innocente di ragazza. Aveva sentito dire che il terrore è talvolta capace di spazzar via da un volto umano ogni altra emozione, di cancellare ogni espressione precedente; ma non aveva mai pensato che ciò potesse essere vero letteralmente o significare qualcosa di tanto orrendo nella sua semplicità quanto ciò che gli si svolgeva ora sotto gli occhi. Poiché il terribile marchio di una paura senza più freni si inscriveva a chiare lettere nel vuoto totale di quella faccia infantile; e quando, sentendo il suo sguardo insistente, ella si volse verso di lui, istintivamente Shorthouse serrò le palpebre per escluderla dalla sua vista.
Ma poco dopo, allorché, ripreso il controllo delle proprie reazioni, si decise a volgersi di nuovo verso la zia, constatò con grande sollievo che l'espressione era già mutata: la vecchia sorrideva, e benché il viso fosse mortalmente pallido, l'orribile velo si era sollevato e il suo aspetto era tornato normale.
- Qualcosa che non va? - fu tutto ciò che riuscì a dire. E la risposta fu molto eloquente, venendo da una donna simile:
- Ho freddo... E sono un po' spaventata.
Egli le propose di chiudere la finestra ma lei lo afferrò saldamente scongiurandolo di non lasciarla nemmeno per un istante.
- È di sopra, lo so, - bisbigliò con una strana risatina, - ma non me la sento di salire.
Shorthouse però la pensava diversamente; capiva che per non perdere la testa c'era un solo mezzo: passare all'azione.
Prese la fiaschetta dell'acquavite e gliene versò un bicchiere che lei trangugiò con un piccolo brivido. Shorthouse aveva ormai un solo pensiero: uscire dalla casa prima che il collasso della zia diventasse inevitabile. Ma non era cosa che si potesse fare tranquillamente, girando i tacchi e abbandonando il campo al nemico. Al punto in cui erano, il pericolo maggiore stava proprio nella passività: ad ogni istante sentiva scemare le proprie forze, e misure disperate, aggressive, si imponevano senza altri indugi. Ma l'iniziativa doveva essere presa contro il nemico, non fuggendolo; il momento critico, se necessario e inevitabile, andava affrontato di petto. Questo era ancora possibile adesso: ma fra dieci minuti gli sarebbero probabilmente mancate le forze per agire da solo, meno che mai per tutti e due!
Di sopra, nel frattempo, i rumori si facevano sempre più precisi e più vicini, accompagnati a tratti dagli scricchiolii del palchetto. Qualcuno si aggirava con passo furtivo urtando qua e là contro i mobili.
Attese qualche istante per permettere all'alcool di produrre i suoi effetti, e sapendo che, date le circostanze, non sarebbero durati a lungo, si alzò in piedi e badando a non far rumore disse con voce ferma: - Su, zia Julia, ora andiamo di sopra a vedere che cos'è tutto questo chiasso. Devi venire anche tu. Avevamo deciso così, ti ricordi?
Raccolse il bastone e si diresse all'armadio per prendere la candela. Una sagoma malferma e ansimante si levò penosamente accanto a lui, ed egli udì una voce debolissima che sussurrava di «esser pronta». Il coraggio di quella donna non cessava di stupirlo; era molto superiore al suo. E mentre avanzavano tenendo alta la candela sgocciolante, Shorthouse capì che la sua forza gli veniva in qualche modo da quella vecchietta pallida e tremante. C'era in lei qualcosa di indomabile che gli dava, è vero, un senso di vergogna, ma al tempo stesso gli offriva quell'appoggio senza il quale egli non sarebbe certo stato all'altezza della situazione.
Attraversarono l'oscuro pianerottolo evitando di sporgere lo sguardo nelle fitte tenebre al di là della balaustra. Poi si avviarono su per la scaletta, verso quei rumori che ad ogni istante si facevano più forti e vicini. Circa a metà della salita la zia Julia inciampò; Shorthouse si volse per afferrarle il braccio, e in quell'attimo preciso dal corridoio dei domestici al piano superiore giunse uno schianto spaventoso. E subito dopo un urlo acutissimo, lacerante, che era insieme un grido di terrore e un'invocazione d'aiuto.
Prima che potessero farsi da parte o retrocedere di un solo gradino, qualcuno si gettò a corsa pazza lungo il corridoio di sopra, e incespicando, con un trepestio disordinato e pauroso, si precipitò a tre gradini per volta giù per la scala dove i due si trovavano. I passi erano leggeri, incerti; ma subito dopo risuonarono quelli pesanti di un'altra persona, e l'intera scala sembrò tremare.
Shorthouse e la sua compagna ebbero appena il tempo di appiattirsi contro il muro quando la grandinata dei passi li raggiunse, e due persone sfrecciarono davanti a loro una dopo l'altra. Fu una vera tempesta di rumori levatasi nel cuore della notte a sconvolgere il silenzio dell'edificio disabitato.
I due forsennati, inseguitore e inseguito, erano passati letteralmente attraverso di loro, e già con un tonfo sordo piombavano prima l'uno poi l'altro - sul palchetto del piano di sotto. Eppure Shorthouse e la vecchia non avevano visto assolutamente nulla, né una mano né un braccio, né un viso e neppure il lembo di una veste.
Seguì una pausa brevissima. Poi il primo, il più leggero, evidentemente l'inseguito, corse con passi incerti nella cameretta che Shorthouse e la zia avevano appena lasciato. Il più pesante lo inseguì. Si udì un rumore di lotta, ansimi, grida soffocate. Poi, sul pianerottolo, il passo di una sola persona che trascinava faticosamente i piedi, come se vacillasse sotto un pesante fardello.
Per mezzo minuto regnò un silenzio di morte; poi venne il fruscio di un oggetto che precipitava tagliando l'aria e un tonfo cupo, sordo, laggiù, sul pavimento di pietra dell'ingresso.
Il silenzio tornò, assoluto. Tutto era fermo. La fiamma della candela era immobile. Era sempre rimasta immobile, e l'aria non era stata smossa dalla minima perturbazione. Paralizzata dal terrore, barcollando, la zia Julia prese a scendere senza attendere il compagno; piangeva sommessamente e quando Shorthouse le passò un braccio intorno alla vita quasi sollevandola di peso si accorse che stava tremando come una foglia. Egli entrò nella stanzetta, raccolse il mantello da terra; sottobraccio, a passi lentissimi, senza parlare, senza gettare una sola occhiata alle spalle scesero le tre rampe fino all'atrio d'ingresso.
Nell'atrio non videro nulla, ma per tutta la durata della discesa sentirono che qualcuno li seguiva, gradino per gradino; se affrettavano il passo lo lasciavano indietro, se rallentavano egli li raggiungeva. Ma neppure una volta si volsero a guardare; ad ogni svolta della scala abbassavano gli occhi per tema di scorgere in alto colui che li seguiva.
Con mani tremanti Shorthouse aprì la porta d'ingresso. Uscirono nella luce della luna, aspirando profondamente la fresca brezza notturna che veniva dal mare.