Ho
sessantanni e ho deciso di parlare di Mama Joseph, ma non lo farò con i miei figli.
Lo dirò a voi. Loro sono ormai grandi e non mi darebbero ascolto. In fin dei conti è
stata una mia scelta. Quando erano ancora piccoli non ho trovato il coraggio e quando mi
sedevo sul bordo del loro lettino preferivo di gran lunga raccontare favole e non storie
maledette. Adoravo osservarli mentre si addormentavano.
Sono nato in un piccolo paese chiamato Cafasse, vicino Torino e si sa, nei vecchi
sobborghi ci si conosce un pò tutti. Mama Joseph era una signora sulla settantina che
abitava in una casa in fondo alla via principale del paese. Era di origini irlandesi ma a
detta degli anziani era sempre vissuta in Italia. Viveva di quel poco che il marito le
aveva lasciato di eredità ed era una donna parecchio taciturna. Era una donna molto
attiva nonostante letà avanzata ma raramente si fermava tra le bancarelle del
mercato a spettegolare con le amiche. Amava restarsene a casa e puntualmente riceveva la
visita dei suoi anziani. Ne riceveva due o tre al giorno e preparava loro gustosissime
torte, seguendo dettami che non figuravano in nessun libro di ricette, Le piaceva
chiamarle le mie preziose, inimitabili leccornie.
Anche mia nonna si recava
spesso e volentieri da lei ma tutte le volte che le domandavo di raccontarmi di che cosa
parlassero, lei sviava puntualmente il discorso. Le poche notizie che conoscevano le avevo
carpite dai discorsi che facevano lei e la mamma, di nascosto, nel buio dei corridoi di
casa. Mi diceva che quando sarei cresciuto avrei ascoltato con le mie orecchie quelle che
avrebbe avuto da dirmi. Io mi chiedevo come avrei potuto farle visita da adulto,
considerato che avevo otto anni e Mama Joseph era al tramonto della vita. La risposta me
la diede mia nonna: morì di crepacuore il giorno dopo che Mama Joseph abbandonò Cafasse.
In quegli anni capitarono fatti drammatici e allo stesso tempo misteriosi. Si parla del
1975, lanno del record di iscrizioni di bambini alla prima elementare,
laffluenza più alta dal dopoguerra. E nei primi sei mesi dellanno Cafasse
conobbe il numero di residenti maggiore e la minima mortalità per cause naturali della
storia. A tuttoggi non ci siamo più avvicinati a quei dati strabilianti. Anche il
prete, durante le prediche domenicali, sottolineò il fenomeno, attribuendo al volere di
Dio quella clamorosa casistica. Poi arrivò lestate e tutto cambiò.
Il pellegrinaggio da Mama Joseph aumentò di numero e frequenza. Mia nonna soleva
recarvisi anche due o tre volte al giorno e ogni volta che tornava a casa notavo nuova
energia nei suoi occhi. Aveva sempre sofferto di artrosi e a stento riusciva a camminare
ma nella primavera del 1975 ritornò a badare allorto e a cucire a maglia. Ricordo
che preparò addirittura il mio corredo da matrimonio.
Poi iniziarono le sparizioni dei bambini.
Allinizio scomparvero due fratelli, ricordo abbastanza bene i loro volti perché
seguivano i corsi nella sezione accanto alla mia. Le autorità ipotizzarono una fuga di
casa, complice il rapporto non proprio idilliaco con il padre, autentico sbevazzone
incallito.
Ma con il passare dei giorni la paura di un rapimento o addirittura di una disgrazia
assunsero i contorni della certezza. Vennero allertate le guardie boschive e vi furono
rastrellamenti in tutto il circondario del paese, macchiato da boschi e alture. Quando
sparirono altri tre bambini, il panico si insinuò nelle case di Cafasse come veleno dopo
il morso di un serpente. Fu indetto il coprifuoco e alcuni genitori decisero di
pattugliare le strade del paese e le campagne circostanti.
Tutti erano allerta, tranne che gli anziani.
Loro continuavano il fedele pellegrinaggio da Mama Joseph, come se la sorte dei nipoti non
gli importasse più di una mosca impigliata nella tela di un ragno. Anche mia nonna
continuò le visite per un breve periodo, poi rinunciò. Rimasi stupito ma anche sollevato
dalla sua decisione. In quei mesi lavevo vista in gran forma ma distante, nervosa e
con la testa tra le nuvole. E poi era dimagrita a vista docchio. Non che fosse
sovrappeso, sia chiaro, ma era come prosciugata nello sguardo. Anche la pelle e i capelli
parevano denutriti ed incolori.
Le sparizioni continuarono incessanti fino a settembre. Alcune famiglie arrivarono a
chiudere sottochiave i figli. La polizia intensificò i controlli e di sera le strade
divennero affollate come in un supermercato allora di punta. Niente poteva più
sfuggire al loro controllo. Ma dei bambini spariti nessuna traccia. Alla fine ne mancavano
allappello dodici.
Le scomparse finirono il primo giorno di scuola del nuovo anno scolastico, in concomitanza
delle nuove iscrizioni alla prima classe. Nel frattempo le classi seconde videro dimezzato
il numero di alunni. Quel giorno, il 10 settembre del 1975, Mama Joseph sparì. Ricordo la
processione di anziani davanti alla sua casa, smarriti e disperati nellaver trovato
la porta dingresso sprangata. Tutti ringiovaniti sì, ma spenti, succubi.
Ricordo bene il capezzale di mia nonna. I miei genitori le avevano
riservato una camera della casa, quella più calda e silenziosa dellabitazione. Il
giorno dopo la partenza di Mama Joseph si era sentita male, con difficoltà nella
respirazione e nei movimenti. E quella mattina, mentre la mamma era impegnata in cucina
con il medico di famiglia, mi feci coraggio ed andai a salutarla. La trovai seduta nel
letto, le gambe sottili sotto il lenzuolo, immobile e scheletrica. Fissava il muro davanti
a lei come una sfinge. Mi avvicinai chiedendole come si sentiva. Lei si voltò, con quegli
occhi spenti e nervosi, e mi parlò. Così, di getto, come se aspettasse qualcuno con cui
sfogarsi prima di prostrarsi dinanzi a Dio e chiedere perdono.
Mi chiese di ringraziarla. Mi disse che aveva peccato di superbia, di aver voluto avere
più di quello che il Signore aveva deciso per lei. Mi confidò di aver visto i bambini,
tanti bambini, tutti in fila dietro la poltrona di Mama Joseph, i trofei che
testimoniavano la sua vittoria. Per ogni desiderio cera un pegno. Per ogni torta una
scelta. Mi raccontò che la prima volta che si recò da Mama Joseph, essa le offrì una
fetta di torta, fragrante e appetitosa, la torta più buona che avesse mai assaggiato. E
quando uscì da quella casa, avrebbe voluto entrarvici di nuovo ma non poteva, perché
dietro di lei cera un altro vecchio che cercava la vita. La continuazione della vita
che Dio non voleva più saperne di concedere.
Per ogni desiderio è necessario un pegno. E cosa cera di più appetitoso di un
bambino? Erano tutti in fila dietro di lei, zitti e buoni, come tanti agnellini pronti per
il sacrificio.
Cosa cera di meglio di unottima fetta di torta? La vita, forse? Questa tiepida
illusione di felicità? Non servivano soldi, o promesse. Tantomeno la sottomissione.
Bastava credere in lei, in Mama Joseph, e lei avrebbe reso tutto più limpido, meno
naturale, tutto semplice. Bastava acconsentire.
Io la guardai terrorizzato, con lobbligo di non credere a quelle parole. Ma ci
credevo.
Sentivo le lacrime scendere sulle guance, calde e piacevoli. Abbassai il viso e le chiesi:
- I bambini. Dove li ha messi i bambini.- La nonna sorrise, aprendo quel tanto la bocca da
scoprire i denti marroni. Ben curati e diritti, ma scuri come la buccia di una mela
marcia.
- Se li è mangiati. Li ha gettati in un pentolone e li ha mangiati quando erano ancora
vivi. Io li ho visti. Si dimenavano come anguille nellacqua bollente ma non
urlavano. No. Secondo me sorridevano. Si stavano sacrificando per i loro nonni. E i vecchi
li guardavano, dovevano farlo. Era il pegno, il pegno per ogni desiderio.-
- E tu nonna...- chiesi ancora, singhiozzando e tirando su con il naso - tu che hai deciso
- Lei allungò la mano rugosa, trascinandola sul mio viso infuocato.
- Io ho scelto te -.
Ho vissuto a Cafasse tutti gli anni che i miei genitori riuscirono a
trattenermi a casa con loro. Non appena compiuti diciotto anni me ne andai a lavorare a
Torino. Un lavoro onesto e sufficientemente redditizio. Sono sposato e amo mia moglie. I
miei figli si sono laureati e stanno esaudendo i loro sogni. Non sanno con quanta
difficoltà leggevo loro le favole, prima che si addormentassero. Non sanno gli incubi che
ho dovuto sopportare in questi anni. Sono ignari, e ne sono felice.
Per quanto riguarda me... be, sono sicuro che prima o poi dimenticherò i volti dei vecchi
ringiovaniti. Li vedevo per il paese, magari a passeggio nel parco o al bar, a gongolarsi
per i loro acciacchi spariti nel nulla. Per le loro chiome tornate fluenti. Per la loro
pelle senza rughe. Quelli che pellegrinavano da Mama Joseph e che hanno sacrificato la
vita dei loro nipoti per una manciata di vita, sepolta sotto un metro di disperazione.
Mi rivolgo a voi, cari lettori. Se mai sentiste parlare di una certa Mama Joseph o se trovaste un campanello con su scritto quel nome be, tenete sotto controllo i vostri cari. Si vive una volta sola e tanto basta.