-Perchè quello sguardo Lavinia?- il vecchio esordì con una frase
nuova, forse allarmato dalla prolungata immobilità della ragazza. Gli occhi gravi di cupa
solitudine vagavano qua e la, spostando le nubi un po' a destra e un po' a sinistra,
tracciando disegni imprecisi che probabilmente dal suo punto di vista avevano perfino un
significato. Si voltò un secondo soltanto per poi racchiudersi ancor più dentro al suo
silenzioso isolamento. Osservò la piccola città in basso con aria svogliata e sprofondò
il mento tra le braccia appoggiate sul basso muro di cinta di marmo raggomitolandovisi a
fianco. La gente là sotto pareva faticare per tirare avanti, mentre lei di queste cose
nemmeno doveva preoccuparsi. Nonostante ciò avrebbe scambiato volentieri la propria
esistenza con quella di uno a caso di quei rozzi paesani...
Un eternità davanti e nessuna prospettiva riguardo al futuro, questi erano i pensieri nei
quali Lavinia soleva crogiolarsi nelle lente giornate autunnali, con il cielo nuvoloso che
amava tanto. L'arrivo dell'autunno aveva rinvigorito i suoi poteri ed ora poteva tornare a
passare i suoi pomeriggi qua e là passeggiando sulla cima del monte senza rischiare di
collassare sotto il sole. I ricordi dei mesi estivi passati nelle profondità del templio,
cercando di evitare il calore cocente, le facevano tornare alla mente tutta quella noia
repressa. Anche ora, mentre camminava tra l'erba alta che cresceva a fianco del monte
poteva percepire il vago senso di insoddisfazione che la spingeva ad andare freneticamente
da un posto all'altro, anche senza nessuno scopo. La sua meta attuale era la cima sinistra
del monte, quella più bassa e tozza, dove era posta la statua del dio Mhisgamela, una
delle divinità secondarie in grado di garantire la fertilità dei terreni attorno al
monte. Il vecchio sentiero era messo decisamente male, totalmente ricoperto d'erbacce e
arbusti spinosi, che comunque non le impedivano di risalire il fianco della montagna. Le
mani si spostavano nell'aria freneticamente assaporando il gusto freddo dell'alta
umidità. Si sentiva energica e vitale, talmente vitale che saltava i pezzi più impervi
fermandosi a mezz'aria a contemplare quanto i suoi poteri si erano rinforzati. Anche lei
stava finalmente cominciando a crescere.
Si stava risvegliando in lei l'eredità
tramandata di madre in figlia per secoli e secoli. Era un processo lento, ma perfettamente
normale per una persona come lei, o almeno questo era ciò che sosteneva il vecchio.
Lavinia dal canto suo odiava il proprio corpo di ragazzina, e non trovava il modo di
reprimere i nascenti desideri fisici che la attenagliavano. Un ramo all'altezza del torso
la impegnò in un balzo più alto del previsto ed ebbe l'effetto di scacciare i suoi
pensieri, o di allontanarli per qualche altro breve lasso di tempo. Dopo qualche altro
arbusto il sentiero si allargò congiungendosi all'altro impervio percorso che portava i
seguaci alla statua di Mhisgamela. Durante il suo riposo estivo nessuno si era occupato di
curare il tratto di sentiero dal templio al bivio, e questo la faceva indispettire.
Avrebbe scacciato la propria noia infastidendo chiunque le fosse passato sotto tiro. La
nuvola che aveva coperto finora il sole si fece un po' più in là, rivelandolo nel suo
chiarore pallido, quasi malato. La ragazza si volse verso quell'enorme sagoma raggiante
sostenendo lo sguardo contro la luce, sfidandolo con fierezza a metterle ancora i bastoni
tra le ruote. Sollevò la piccola e delicata mano di adolescente e la fece scivolare
nell'aria immaginando di accarezzare quella grande nuvola grigia. Per un secondo la
gigantesca massa volle assecondarla, ma poi il vento cambiò di nuovo e la giovane
ritrasse lentamente il braccio. Non aveva realmente sperato di poter manipolare le nubi,
per ora le bastava ciò che era...
Un lento e cadenzato vociare le giunse dalla cima della montagna, risvegliando in lei il
piacere che aveva pregustato all'idea di infastidire qualcuno, in questo caso i monaci che
avevano iniziato la loro preghiera rituale. Risalì in fretta il sentiero, leggiadra come
Diana immersa nella caccia, con un temibile sorriso sul volto indice di altrettanta
pericolosità. Il vento prese ad inseguirla, facendo splendere al sole i suoi lunghi
capelli neri. Correva veloce, ma senza perdere la grazia e l'eleganza del suo nobile
passo. Erano quelle piccole cose a cui teneva particolarmente perchè riteneva influissero
sulla considerazione che il resto della gente aveva di lei. Se avesse dimostrato in ogni
occasione una perfetta signorilità nessuno avrebbe mai messo in discussione il suo alto
lignaggio e, col passare del tempo, avrebbe raggiunto il potere e l'importanza del
vecchio. Forse sarebbe addirittura andata oltre.
La caratteristica che solitamente esternava maggiormente era la predisposizione al
dispotismo sfrenato, la noncuranza verso chi lei considerava inferiore e l'altezzosità
del suo rango. Fù proprio per esaltare queste sue caratteristiche che quando arrivò al
complesso della statua di Mishgamela passò con noncuranza in mezzo alla schiera di monaci
inginocchiati a terra. Passò sotto al lungo colonnato di marmo bianco, mantenendo lo
sguardo alto, fiero, imperioso. Qualche giovane adepto indisciplinato alzò gli occhi a
osservarla e rimase attonito alla vista del suo corpo snudato dalla tunica chiara qualche
metro prima. La grazia di quell'esile figura, il contrasto tra i capelli corvini e la
pelle pallida, le forme ancora poco definite ma decisamente promettenti, tutto ciò
impediva a chi osservava di distogliere lo sguardo. A tutti coloro che osavano alzare il
capo veniva somministrata la stessa punizione divina: cecità temporanea che andava dai
dieci minuti ai sei giorni. Questa abilità gli era stata insegnata da una parente, che le
aveva spiegato come il vuoto nero nella testa di un uomo possa contribuire ad
assoggettarlo al proprio potere.
Il monaco che stava intonando la cantilena si fermò, attendendo che la nuova venuta
manifestasse le sue intenzioni. Anche lui aveva imparato a temerla ed a mantenere un
comportamento ligio e rispettoso in sua presenza. Per quanto piccola quella ragazza aveva
in sé un potere da non sottovalutare. Quando lei mosse i suoi altezzosi passi verso la
statua, superandolo, trattenne a fatica un respiro di sollievo.
Lavinia arrivò al lago di acqua limpida al cui centro era stata posta la statua del dio
minore e si specchiò nell'acqua. I capelli neri contrastavano con la pelle pallida
creando uno strano effetto. Era orgogliosa di non portare sulla propria pelle i segni del
sole. In quel silenzio sacro la giovane si rimirava nel riflesso del lago, attendendo in
modo da dar più fastidio possibile ai monaci. Fece scivolare una mano verso i piccoli
seni immaturi e sentì ancora una volta quella sensazione di insofferente attesa che
sovente le appesantiva i pensieri. Decisa ad interrompere la sacra cerimonia scivolò
lentamente nelle acque cristalline, che a contatto con il suo corpo generarono lentamente
uno strato di nebbia basso, pesante, ma inarrestabile.
Il capo dei monaci si alzò in piedi e si inchinò, imitato da tutta la schiera di
seguaci. Tutti si voltarono e presero ad uscire dal tempio. La nebbia già avvolgeva i
loro calzari. Osservando il terreno si resero conto che probabilmente avrebbero faticato a
ritrovare il sentiero. Il monaco si chiese cosa avesse fatto indispettire la giovane, ma
poi rinunciò al pensiero e si volse verso il sole cercando la sua protezione. L'astro
radioso splendeva ancora, ma pallidamente, senza potere nulla contro quella nebbia
ostinata. Sospirò sconsolato e prese a scendere il sentiero guidando i fratelli mentre
saggiava il terreno con il suo bastone.
Immersa nelle sue nebbie Lavinia rideva, gustando l'unico piacere che poteva concedersi.