Era stato
un detto popolare legato a una sua abilità innata, a spingere Lorenzo a cercare nel mondo
della chiromanzia il suo piccolo posto nel mondo. D'altronde è sempre così, le cose che
possiedi da sempre, non hanno in te memoria, di conseguenza è come se non esistessero.
Eppure Lorenzo aveva un dono, capiva le persone. Gli bastava vederle mangiare per sapere
tutto di loro, e forse anche di più.
Era stato così che una mia cara amica, che trascorreva i suoi giorni da una santona
all'altra a farsi leggere la mano o i tarocchi, mi aveva parlato di lui entusiasta, e
tanto disse che mi convinse ad invitarlo a cena per presentargli il mio nuovo fidanzato, e
avere il magico responso: Era lui l'uomo della mia vita?
A fine serata, con una strana espressione, mi aveva detto che quella non era la persona
giusta per me. Ammetto di esserci rimasta male, di essermi offesa e di essermi arrabbiata
quando mi disse, che non potevo stare con uno che mentre ancora masticava a piena
mandibola il suo boccone misto a tutte le cose commestibili che c'erano sul tavolo,
ingurgitava un buon bicchiere di vino rosso. Mi arrabbiai sì, perché io di quella cosa
me ne ero già accorta e la trovavo disgustosa. Ma nel mio mondo fatto di regole e
fantasie, pensavo che tutto quello che non veniva pronunciato ad alta voce, non esistesse.
Mi disse che era un egocentrico e un violento, privo di fantasia e ideali, e io avrei
sicuramente sofferto vicino ad uno così. Dovevo lasciarlo. Prima l'avessi fatto, meglio
sarebbe stato per me. Non so perché gli diedi retta, ma lo feci e d'allora, ogni volta
che con un uomo la cosa diventava più seria, lo invitavo a cena affinché mi desse il suo
responso.
Lorenzo a volte mi comunicava il menù della serata, la disposizione e la quantità nei
piatti. Legumi, verdure, carni, pesce, diventai una bravissima cuoca, ma il responso di
Lorenzo era sempre lo stesso. No. Quello era impotente, quello un delinquente, quello
sicuramente aveva già una donna, quello non voleva figli. E ogni suo giudizio era
associato ad una accurata analisi del loro modo di scegliere e mangiare il cibo. Eppure
nonostante gli esiti sempre disastrosi delle mie scelte, non ero triste, né depressa. Mi
scoprii, invece, sempre più spesso a pensare a lui. Così decisi di agire. Lo chiamai per
quella che speravo fosse per me, per noi, l'ultima consulenza. La cena era pronta, mancava
solo il mio presunto fidanzato, e una telefonata fatta da un'amica diede credibilità alla
cosa, facendo scattare la trappola.
- Carlo non può venire per un contrattempo.
Lorenzo mi guardò, non riuscivo a capire se la notizia fosse stata per lui buona o
cattiva.
- E pensare che ho cucinato tutto il pomeriggio... cosa dici ti va di fermarti a cena?
Così anche se ormai...
Lorenzo mi guardò di nuovo. Cominciavo a sentirmi agitata. Perché non parlava? Mi
ritornò alla mente tutto il tempo passato sui libri di cucina e su internet alla ricerca
di quel particolare frutto o verdura che mi avrebbe aperto il suo cuore, attraverso il
linguaggio dei colori, degli odori e dei sapori.
Funzionerà, mi dissi e lo ripetei tre volte perché funziona così nel mio piccolo mondo
di regole, ogni cosa, sia pure una bugia, se ripetuta tre volte si trasforma in verità.
- Prego siediti. Ho preparato una cosa speciale. Spero ti piaccia.
Presi il suo piatto e gli servii la zuppa di porro. Presi il cucchiaio e senza guardarlo
cercai di ingoiare quella pappa dallo strano sapore. Mi tornò così alla mente mio padre,
quando cercava di imbrogliarmi facendo passare il risotto di porro per quello di asparagi.
Sapeva infatti che mai avrei mangiato qualcosa che poteva essere ricondotto alle cipolle.
Quell'innocente imbroglio passato, fece crollare d'un tratto tutta la mia fiducia. Non
c'ero mai cascata ai tentativi di mio padre di far passare il sapore del porro per quello
degli asparagi.
Lo stomaco mi si chiuse e nulla riuscivo più a buttare giù. Lo guardai di sottecchi,
vergognosa del mio stupido tranello.
- Sei strana stasera. Qualcosa non va?
- No, no. Va tutto bene, scusa.
Mangiammo in silenzio, o almeno lui mangiava, io facevo finta. Mi sembrava che ogni cosa
nella mia bocca avesse il sapore del porro. Ero disperata la serata stava diventando un
vero fallimento. Di tanto in tanto lo sbirciavo, anche lui sembrava triste.
- Sai volevo dirti che non verrò più a farti da consulente.
- Perché? - chiesi sorpresa
- ... vado via. Cambio città.
- Come mai? Pensavo ti trovassi bene...
- Sì, ma ...le cose sono cambiate...
- In che senso?
- Mi sono innamorato.
- Capisco - dissi ormai distrutta - vai da lei.
- Beh non proprio, voglio piuttosto allontanarmi... sai lei non credo m'ami.
- Ma come fai a dirlo... poi tu dovresti saperlo... portala fuori a cena, vedrai che...
- È questo il punto, fino a ieri credevo che prima o poi lei si sarebbe innamorata di me,
mi sembrava di aver letto dei segni, invece adesso ho capito che non c'è futuro per me,
nella sua vita.
- Adesso?
- ... sì questa zuppa di porro. Dice tutto - e così dicendo si alzò.
Fu come se il mio cuore improvvisamente si fosse aperto per ricevere il sole. Mi ama, mi
ama, mi ama. Gli saltai al collo e lo baciai con passione.