A Torino,
in centro, nella via Barbaroux, c'é una casa molto ma molto vecchia.
E' situata all'angolo di una strada di cui non ricordo il nome, in questo momento, ma se
per caso vi trovate a passare da quelle parti, vi sarà sufficiente chiedere a qualunque
negoziante della zona, perché tutti, ma davvero tutti, la conoscono, anche se,
personalmente, ve lo sconsiglierei.
Questa casa é sprovvista di un angolo sulle due strade; la sua architettura é composta
da un arco, con una pancia di mattoni che rotondeggia convessamente rispetto al piano
urbanistico. All'interno di quest'arco, tra le due colonne raffigurate in altorilievo che
ne delimitano il perimetro simulando una sorta di cancello, c'era un affresco (e, qualche
volta, c'é ancora oggi!) di circa tre metri di altezza per quattro di larghezza.
A colpo d'occhio, un vero capolavoro!
Quello che chiameremo il signor Mario Rossi (per una questione di privacy, s'intende!) é
il proprietario di una piccola vineria/birreria/caffetteria situata quasi di fronte a
questa casa, e quella che chiameremo Maria (in) Rossi la sua devota moglie.
So perfettamente che potevo inventare dei nomi più accattivanti, ma, in fondo, lo dice
anche il proverbio: Mario e Maria, ma che scarsa fantasia!
Ma é proprio quello che questa storia non richiede: la fantasia.
Non serve fantasia per raccontarvi una storia vera. Solo un po' di memoria, e un minimo di
capacità descrittiva.
Era una sera buia e tempestosa (ho deciso di andare a nozze con i luoghi comuni!), e
faceva veramente freddo; a Torino, il freddo é diverso che in qualunque altro posto. Ha
qualcosa in più, un dono particolare, tutto suo, che riesce ad entrarti non semplicemente
nelle ossa, ma fin dentro l'anima! Mario e Maria stavano chiudendo la loro attività, e
quindi non poteva essere più tardi delle ventidue. Il mese era quello rigido di novembre,
il più umido, il più bastardo, quello in cui ad una giornata di sole ancora tiepido,
segue una notte il cui cielo viene congelato in un umido grigio piombo, e ti pesa addosso
come un mantello che non scalda, anzi!
Affligge!
Come tutte le sere, verso quell'ora, via Barbaroux, pur essendo centrale, cominciava ad
addormentarsi, e il passeggio era quasi inesistente; ma quella sera aveva qualcosa di
diverso dalle altre sere.
Mario, ribadisco, come sempre, uscì dal suo locale con in mano quel particolare bastone
di ferro che serve per tirare giù le sarracinesche; una di queste si trovava (e si trova
ancora oggi!) esattamente di fronte a quella casa di cui vi stavo parlando prima. E,
sempre come tutte le sere, prima di voltarle le spalle per chiudere, la guardò
furtivamente.
La nostra storia comincia qui.
Il ferro gli cadde dalle mani, la testa cominciò a girargli, il sudore a scendere
copiosamente dalla sua fronte.
Sudore freddo.
Poi il suo urlo. Un urlo che di umano aveva davvero poco.
"MARIA! MARIA! Cristo Gesù santissimo! MARIA!"
"Che c'è? Che succede? MARIO! OMMIODDIO! NO, NON DI NUOVO!"
Qualche tempo prima...
C'era una volta (sì, sì, mancava questo inizio!) un giovane pittore
curioso.
Aveva sentito parlare di un meraviglioso affresco sulla parete convessa che si trovava
all'angolo tra la via Barbaroux e un'altra via minore.
Si era recato per una prima osservazione, spinto, come tutti noi a volte siamo spinti, dal
fascino del mistero.
Giunto sul posto, non poté non meravigliarsi di quello che i suoi occhi riuscivano a
cogliere.
Era una scena di indubbia natura infernale, intesa nel senso dell'inferno dantesco;
quell'affresco raffigurava sicuramente un cerchio, o girone, all'interno del quale si
trovavano le anime perdute, ma la pena loro afflitta non rientrava in nessuna delle pene
descritte nella Divina Commedia. Gli spiriti empi nuotavano in un mare di liquame scuro,
incalzati a berne da alcuni demoni posti su delle sporgenze rocciose che si ergevano da
questo liquido immondo.
Venne preso dalla frenesia.
Corse a casa, prese cavalletto, colori e pennelli, e tornò davanti all'affresco.
Cominciò a dipingere, non per scelta, verso le ventuno, accorgendosi che la luce migliore
per lavorare era decisamente, in quel caso, nell'ora notturna.
Finì il suo quadro che erano ormai le tre del mattino.
Alle sei e quarantadue un passante, con il suo bastardino al guinzaglio, rinvenne la tela
abbandonata, i colori, i pennelli, il cavalletto e una seggiola.
La tela ritraeva l'affresco di fronte al quale era stata lasciata.
Tutti i particolari combaciavano, tranne uno: nell'originale, gli spiriti empi che
galleggiavano nel liquame erano dodici.
Sulla tela, copia fedele, se ne contava uno in più.
Tredici.
Dietro la tela, il titolo dell'opera, senza firma.
Il Girone dei Malcapitati.
Il passante si chiamava Mario Rossi, e presto avrebbe acquistato la rivendita di liquori
di fronte a quella casa per farne una vineria/birreria/caffetteria con la sua giovane
moglie, Maria (in) Rossi.
Ma prima che venne questo tempo, quello stesso giorno, si procurò diversi chili di calce
viva, e, con l'aiuto del suo più caro e fedele amico, Toni, la notte seguente, al riparo
da sguardi indiscreti, coprì completamente l'affresco con la calce, sperando di ottenere
il doppio effetto di occultarlo ed eroderlo per sempre.
Di nuovo, oggi...
Maria corse all'interno del loro locale, spinta da una frenesia
incomprensibile, e raccolse la polaroid (dono al nipotino di 7 anni) che, ormai, viveva
residente sotto la cassa, nel terzo cassetto, e poi corse nuovamente all'esterno, verso il
punto in cui si trovava Mario.
Cominciò a scattare ripetutamente fotografie, e le parti di carta impressionata volavano
fuori a raffica dalla pancia in calore dell'apparecchio, cadendo a terra come foglie
morte.
Verso le sei e trentadue del mattino un passante, con il suo bastardino al guinzaglio,
rinvenne da terra una macchina polaroid e diverse fotografie ancora da liberare dalla
carta satinata; raffiguravano l'affresco che c'era sulla pancia convessa dell'angolo della
casa di fronte, ma, a ben guardare, notò una sconcertante imprecisione.
L'affresco originale ritraeva quindici anime empie che nuotavano in un mare di liquame
scuro, incalzati a berne da alcuni demoni posti su delle sporgenze rocciose che si
ergevano da questo liquido immondo.
Le fotografie ne ritraevano solo tredici.
A Torino, in centro, nella via Barbaroux, c'é una casa molto ma molto
vecchia.
E' situata all'angolo di una strada di cui non ricordo il nome, in questo momento, ma se
per caso vi trovate a passare da quelle parti, vi sarà sufficiente chiedere a qualunque
negoziante della zona, perché tutti, ma davvero tutti, la conoscono, anche se,
personalmente, ve lo sconsiglierei.
Questa casa é sprovvista di un angolo sulle due strade; la sua architettura é composta
da un arco, con una pancia di mattoni che rotondeggia convessamente rispetto al piano
urbanistico. All'interno di quest'arco, tra le due colonne raffigurate in altorilievo che
ne delimitano il perimetro simulando una sorta di cancello, c'era un affresco...
... E, qualche volta, c'é ancora oggi!