Amo la mia città

Mi piace questa città, così ferma e fredda. Le strade vuote, l’asfalto gelido e grumoso coperto da una sottile lamina di ghiaccio, illuminato da quelle file di luci dei lampioni. Ah, si spegnessero tutti insieme proprio adesso, sarebbe l’apoteosi del godimento per i miei stanchi occhi. Non è stato facile abituarmi: le vetture che sfrecciano rapide, i grattacieli punteggiati come miliardi di lucciole eccitate che turbinano nell’aria.
Ormai è notte inoltrata, mancano ancora diverse ore prima dell’alba e la caccia è appena iniziata. Lo sento.
Proseguo per viottoli scuri che mi ospitano devoti, non odo nulla eccetto un paio di felini affamati che sgattaiolano in qualche cassone per l’immondizia. Davanti a me le urla di un’osteria malandata infrangono il fermo silenzio di cui tanto mi stavo giovando. Se non avessi sopportato tutto quello che ho dovuto malauguratamente sopportare, se ancora fossi così irrequieto da sembrare un novizio beh, mi ci piomberei come una serpe affamata che trova un nido colmo di uova di quaglia ancora tiepide. Basterebbe un occhiata e tutti quegli sbevazzoni accaniti che se ne stanno seduti al banco ad intorpidirsi l’anima cadrebbero ai miei piedi, sarebbe così semplice. Ora però conosco quanto sia divertente giocare e così facendo darei soltanto un’altra piccola soddisfazione ai miei cacciatori. Rimarrebbero per qualche ora a vantarsi dei loro morti, spiattellandoli il giorno dopo su quegli insulsi quotidiani. Certo potrei togliermeli dal culo per qualche ora ma... quanto amo il profumo della tensione che scaturisce dalla loro pelle!

Supero l’osteria, non la degno neanche di uno sguardo. Mi sfiora l’odore di sangue annacquato da alcool di seconda scelta, davvero nauseante.
Strilli di sirene spianate in lontananza come cantilene di manicomio, ma non credo siano per me, non sono così eccentrico da pensare che tutta la polizia della città sia alle mie calcagna.
Del resto, quel tanto che basta di popolarità per far parlare di me l’ho raggiunta da un bel pezzo: il killer che dissangua le proprie vittime, nessuna traccia di violenza o rapina. Non potevo sperare in nomina più denigrante, quasi mi viene il disgusto. Dopotutto una città come questa desidera i suoi morti, li pretende con una frequenza quasi maniacale. Chi uccide per vendetta, chi per vergogna, alcuni sfogano gli istinti animali repressi con le puttane, altri con i bambini. E io do il mio contributo.
Diamine quante volte sono stati vicini, ad un passo dalla verità... quell’agente davanti a me sprizzava terrore da ogni buco del corpo, le braccia tese dietro la pistola che tremavano, mentre tentava di ordinarmi di stare fermo ma la sua bocca si apriva e si chiudeva senza emettere alcunché. Io avevo ancora il sangue caldo che mi accarezzava il mento. E mentre gli spezzavo l’osso del collo mi sentivo addolorato, in fondo svolgeva il suo compito da mortale e di certo non sarebbe voluto essere lì davanti a me, sotto quel ponte in quella calda sera di luglio. Ma perché non tentare di comprendere il mio essere? Perché non provare a fuggire, libero e spensierato nella notte e tornare a casa e fare l’amore con la propria donna... poveri voi beati che potete provare amore.
Soffia vento gelido mentre mi stringo nel cappotto marrone. La rivoltella ce l’ho infilata nell’orlo dei pantaloni, con la sua sensazione di gelo che mi invade il corpo. Forse è questa la notte giusta per sparare la prima volta, sinceramente non vedo l’ora di farlo. Le persone si sentono più forti con uno di questi aggeggi tra le mani, io mi sento un po’ meno vampiro. Certo, l’idea di privare qualcuno della vita mortale senza assaporare la dolce fragranza che riempie l’aria in quei minuti di delirio mi turba un po’... e se mi piacesse troppo? Un giorno o l’altro la getterò via, ma non stanotte. Dovrà cadere da sola dopo che, fumante, avrà inviato l’ultimo suo messaggio di morte. E alla città mancherà l’unico che davvero la rispettava. E mi piangeranno, ne sono sicuro... potessi diventare umano!

Marco Cattarulla