Al
crepuscolo uscì dalla tomba e saggirò per il cimitero in cerca di prede. Vide un
uomo con un mazzo di fiori. Colse lironia del contrappasso mentre gli spappolava il
cranio con una pietra. In vita era stato un bravo chirurgo e aveva salvato molte persone,
ora gli uomini erano il suo cibo. E la speranza per riabbracciare sua moglie. Era sicuro,
lamore per lei laveva fatto tornare dopo lo schianto con
lauto, ma il suo corpo iniziava a decomporsi. Si toccò una pustola sul viso, provò
ribrezzo verso se stesso e non voleva certo inorridire lamata. Aveva unidea
per fermare il processo degenerativo.
Afferrò il neocadavere. Aveva voglia dassaggiarlo, ma resistette, non doveva
infettarlo col suo morso. Raggiunse il laboratorio, una vecchia cappella
abbandonata. Voleva strappargli cuore, fegato, polmoni, reni, milza per sostituire i
propri organi malati. Per questo si fanno i trapianti: per guarire.
Un rumore di passi lo distolse.
Qualcuno doveva averlo visto e lo stava seguendo. Unombra, tra gli alberi, si avvicinava. Afferrò un ramo e aggirò la figura. Randellò la testa e la sagoma cadde allistante, sparpagliando rose rosse. Poi sentì quel suo cuore morto attorcigliarsi come un vecchio straccio. In una pozza di sangue riconobbe i lineamenti dellamata. Si chinò, con gli occhi vitrei che sembravano inumidirsi, e ne sentì il respiro sempre più flebile. Si avvicinò alle labbra per baciarla, ma si bloccò. Ammirò la bellezza della moglie, ancora incontaminata dalla corruzione della morte, così in contrasto con la ripugnanza del proprio corpo putrescente. Baciarle la bocca avrebbe suggellato il culmine abominevole di quellantitesi. Sospirò serrando le palpebre. Le riaprì e la baciò sul collo. Le diede anche un morso, piccolo. Linfezione non ci avrebbe messo molto a trasformarla. Quando si fosse svegliata allora sì che lavrebbe baciata sulle labbra. Come una volta.