Odiava. Dei sentimenti non aveva mai conosciuto altro: a partire dai suoi genitori, mai conosciuti, per continuare con le suore del brefotrofio e proseguendo per una serie di facce confuse, sfocate dalloblio e dallo sdegno che solo lodio più puro riesce a generare, detestava interamente il creato. Tale era la potenza dellacredine che provava che scoprì ben presto di poterla incanalare, di riuscire a desiderare così ardentemente lannullamento della felicità altrui da gettare disgrazia sul prossimo. Prese così a goderne, a frequentare luoghi affollati e dove lumanità dava il peggio di sé, e ovunque andasse tutto volgeva in tragedia: nelle risse alle quali assisteva scappava il morto, nei parchi giochi cani docilissimi si avventavano sul loro piccolo padrone dilaniandone il volto, agli incroci trafficati le macchine slittavano sullasfalto viscido di nera pioggia. Il tempo passava, e la sua abilità nel distruggere vite altrui era sempre più forte, il male che lo circondava percepibile, come un invisibile mantello di catrame, rendendolo spavaldo, facendolo sentire un nero Dio.
Gli accadde però un giorno, girando per le stazioni peggiori della metropolitana, di incontrare una ragazza. Non bella, non attraente, a tratti insignificante. Come un predatore cercò di odiarla, di avvilupparla col rancore che desiderava provare, ma tutto fu vano. Sconcertato, tornò il giorno dopo, e quello dopo ancora, alla stessa stazione, alla stessa ora: ma neppure allora riuscì ad odiarla. Semplicemente non provava più quellorrenda forza ruggirgli nellanima, solo uno strano calore nel petto, al quale non osava dare un nome. Fu la sera stessa che si accorse di detestarsi per ciò che temeva di provare, ma oramai era troppo tardi: rivolse tutta la sua furia su se stesso. Lultima cosa che vide fu il suo stesso volto, livido dodio, prima che il cuore gli schiantasse nel petto, nemesi, allo specchio.