Ci
trasciniamo per le campagne.
Cercando la stessa cosa.
Ma ognuno per sè.
Senza dire parola tra noi.
Molto affamati.
Quando vediamo la casetta ritorna la speranza di riuscire a mangiare qualcosa.
I primi di noi che arrivano alla porta sono malamente sparati.
Senza dare spiegazioni.
Senza chiedere nulla ci massacrano.
Ma uno lo prendiamo, ce lo lanciano dalla casa.
Credono di accontentarci.
Illusi, la nostra fame è infinita.
Inveisce contro i suoi.
E si dimena tanto.
Un po meno dopo che gli abbiamo strappato braccia e gambe.
Ma urla ancora molto.
Schizza tanto sangue.
Ma è ancora vivo.
A noi piacciono vivi.
Gli organi vitali sono integri.
Gli introduco una mano nel petto.
Sento scricchiolare le costole.
Sento spezzarsi le costole al passaggio del mio arto.
Arrivo al cuore e lo estraggo... ancora pulsante.
Lo sento muovere mentre i miei denti lo azzannano.
Sento il sapore del sangue che sgorga.
Altri sventurati ci sono addosso.
Cercano di togliermi la preda.
Gliela lascio quando è ormai separata in logori e irriconoscibili brandelli.
E morto, troppo in fretta.
Ma la fame non è estinta.
La casa torna importante.
La casa ne contiene altri.
Ed è chiusa.
Porte e finestre sbarrate.
Si sente battere dallaltra parte.
Un martello.
Stanno finendo di chiudersi dentro.
Ma la fame è tanta.
Noi siamo in tanti.
I più veloci sono già a ridosso della porta.
Sentiamo lodore della selvaggina.
Battono, battono e la porta sta per cedere.
Dallinterno ci anticipano e la porta si spalanca allimprovviso.
Ne escono una serie di fucilate.
Ai primi esplodono le teste.
Crollano a terra i corpi.
E la porta si richiude.
Ma non abbiamo fretta.
Il loro cibo finirà.
Il nostro dovrà uscire.