Le creature
affollavano lo stadio e biascicavano, penose, dietro la rete metallica.
Lui, il dominatore, le guardava, guardava il loro lento ondeggiare, senza senso, i loro
occhi fissi come rettili a sangue freddo, le loro bocche capaci solo di mugolii sinistri.
Sentiva le loro pulsazioni cerebrali, semplici ma al tempo stesso in preda a una tensione
impazzita; li conosceva bene, li aveva presi, accompagnati nellattraversare il fiume
un tempo, e un imprinting primordiale li aveva resi succubi di lui, prima creatura che
avevano visto dopo la nuova vita, un padre a cui obbedire.
Seduto sul trono scrostato dal tempo e dalla storia, fece il segnale.
Un gong, possente e stonato, rimbombò nellarena improvvisamente silenziosa. Eccolo,
lo vide, stava entrando: un umano impaurito e scalzo, più scoordinato ancora delle figure
senza anima e senza coscienza che lo circondavano.
Non sentiva pena per
quellindividuo, era solo un mortale, un essere finito, senza futuro. Si alzò dallo
scranno, lento ma autorevole, lo avvicinò, gli prese il viso piangente tra le mani, lo
accarezzò come si accarezza il marmo levigato e con rapida e sapiente mossa torse il suo
debole collo. Era lultimo, la sua razza perduta per sempre.
Non lavrebbe caricato sulla sua barca sghemba, no. Ormai da così tanto tempo
linferno era pieno e le anime dannate ritornavano sulla terra senza ricordi e
avevano avuto la meglio sugli altri, sui coscienti.
Vaghi ricordi di epoche lontane e di razze umane estinte gli balenavano nella mente, un
vorticoso ripetersi di caos, di guerre, di violenze inconsulte; la mente umana era
fallace, animata da furori e passioni ma priva di saggezza, per nulla meritevole di
dominare la natura. Ma gli anni a venire avrebbero visto una sola creatura senziente,
Caronte e i suoi occhi di fiamma, in eterno.
Sono un ragioniere che a volte ama uscire dalla paurosa rete dei freddi numeri e inoltrarsi nel rilassato mondo dell'incubo.