Ombre

“Ecco, lei può sistemarsi qui” dice il vecchio precedendomi su per la scala ripida.
Entro in uno stanzone lungo pieno di finestre. Alle sei di sera, con tutti gli alberghi strapieni per la annuale fiera del paese, posso ritenermi fortunato di aver trovato da passare la notte in questa fattoria.
“Chi ci dormiva qui?” chiedo.
“Nessuno, una volta era la stanza usata per essiccare la frutta. In quell’angolo c’è una brandina ripiegata con delle coperte.”
Ringrazio e gli metto in mano alcune banconote.
Quando sono solo mi affaccio a una finestra con le inferriate. Il sole di ottobre giallo come una cotogna sta per tramontare là in basso. Sciami di moscerini danzano al calore degli ultimi raggi. I campi hanno una luce strana e i mattoni della stanza rosseggiano sotto la luce dorata. É tutto pieno di polvere qui. Chissà da quanto tempo non ci veniva qualcuno.
Mi preparo il letto per la notte, dispiego le coperte e per ultimo provo a distendermi per sentire come si sta. Bene. Le coperte sono scure e ruvide, la rete sotto è ricurva ma è sempre meglio di niente.
A occhi aperti penso al viaggio faticoso che ho fatto, faccio programmi per il giorno successivo. Tra poco scenderò giù in paese per mangiare qualcosa, poi a letto e domattina presto...
Sono svegliato di soprassalto da uno schianto sul pavimento e apro gli occhi. Lo stanzone è imbiancato dal chiaro di luna che entra dai finestroni. Fa un freddo pungente. Perbacco, ero talmente stanco che devo essermi addormentato. Che ora sarà? Fa troppo freddo per alzarmi ma non ho più sonno ormai.
Rimango sdraiato. La luna rende luminoso lo stanzone entrando dalle finestre, disegna le ombre distorte delle inferriate, dei graticci rotti, delle tele di sacco squarciate e penzolanti. Per farmi venire sonno conto le grosse travi sotto il tetto: una, due, tre, quattro, cinque, sei...
Un sommesso grattare, come se qualcuno raspasse a intervalli. Topi. Chissà quanti ce ne sono quassù.

Un lieve sussurro si ode adesso. Resto immobile, in ascolto. Silenzio assoluto.
Passa ancora del tempo. Guardo da una parte e poi dall’altra. Il lungo stanzone è completamente vuoto. Vedo le file dei pilastri di mattoni perdersi nel buio, il pavimento pure di mattoni incurvato, le capriate delle grosse travi di legno...
Un borbottìo basso e profondo proviene dal fondo della stanza.
Balzo a sedere sul letto. Forse è il proprietario che ha dimenticato di dirmi qualcosa. Ma come è possibile a quest’ora di notte!
“Chi c’è là?” E la mia voce si perde in quel grande ambiente.
Mi alzo e vado verso le finestre. Guardo la stanza che appare completamente illuminata e vuota. Allora vado a controllare la porta. É fatta di tavole di legno malsquadrate. Alzo il saliscendi e guardo giù per la scala. Buio assoluto. Rinchiudo fissando il saliscendi con uno spago che sta attaccato lì. Fa troppo freddo per indugiare e ritorno a letto sotto le coperte.
Dopo un po’ di tempo la voce grave risuona ancora in fondo alla stanza.
Con gli occhi sbarrati guardo da quella parte e trattengo il respiro per ascoltare. É un borbottìo basso, lento, indistinto. Proviene dalla parte opposta alla porta, là dove c’è solo il muro senza finestre. Il borbottìo si fa più forte e vedo distintamente un’ombra alta e scura con il mantellino e il cappello da viaggio che avanza verso di me. Resto paralizzato dalla paura. Istintivamente mi tiro su le coperte sperando che non mi veda, che non si accorga di me. Però mi sento ancora più in pericolo e guardo di nuovo.
Ancora l’ombra distintissima con la faccia scura e regge un pacco fra le mani. Quando passa davanti alla finestra crea l’ombra sul pavimento. Si dirige verso la porta passando in fondo al mio letto, e quando è vicina non posso trattenere il movimento brusco di alzarmi. Ma mi arresto di colpo.
L’ombra prosegue e pare non avermi sentito. Il fatto che mi ignori completamente mi fa tornare un po’ di coraggio.
Un’altra ombra va verso la prima. Da dove è venuta? Tutto si svolge rapidamente e in un silenzio di tomba. Non le sento muoversi né camminare eppure agiscono come esseri veri e come corpi opachi creano l’ombra sul pavimento.
Insieme si dirigono verso un punto nella stanza.
Vedo che mettono la cosa che la prima ombra reggeva in mano, in un punto là in alto e poi vedo che mettono dei mattoni.
Lavorano insieme e io nel frattempo guardo in alto per trovare un punto di riferimento. Conto le travi... è sotto la sedicesima trave a partire dalla porta.
Quando guardo di nuovo le ombre sono scomparse e posso pensare che non sono mai esistite.
Sento il cuore che batte e il sudore freddo corrermi lungo il corpo. Respiro profondamente per tornare a calmarmi. Più tardi provo a chiudere gli occhi.
La luce grigia dell’alba entra dalle finestre rivelando tutto lo squallore del vecchio granaio. Subito mi ricordo di quanto è successo e corro a controllare il muro sotto la sedicesima trave. Non c’è nulla da vedere. Solo un muro di vecchi mattoni...
Ma... i mattoni, là in alto, sono inseriti in maniera differente che tutto intorno. Sono tenuti insieme sempre dalla malta, però sono posati uno sopra l’altro e non intercalati. Questo per uno spazio di circa mezzo metro quadro.
Quando scendo trovo il vecchio che dà da mangiare agli animali nel cortile.
“Piuttosto freddo stanotte, vero?” dico con indifferenza.
“Sì, abbastanza.”
“Ma ho dormito bene ugualmente. A proposito, chi ci abitava in quella stanza?”
“Nessuno, le ho detto che era una stanza usata per essiccare la frutta.”
“E allora perché c’era una branda?”
“Ah, quella; sì saltuariamente ci veniva a dormire un girovago...”
“Un girovago?” chiedo con interesse. “Lei se lo ricorda bene? Potrebbe descrivermelo?”
Il vecchio mi guarda sospettosamente: “Bah, era un tipo magro che amava le fiere.”
“E quando è stato qui l’ultima volta?” chiedo.
“Oh. Almeno quarant’anni fa. Ma perché le interessano queste cose?”
“Niente. Pura curiosità.”
Porto il discorso sulla fiera, sul tempo, poi do una mancia e me ne vado.
Dentro di me ho il fermo convincimento che ritornerò un giorno. L’uomo magro era il fantasma dello zingaro, e l’altro chi poteva essere? Forse un suo complice. Che cosa avranno nascosto di notte dentro il muro? Dell’oro, dei documenti, o forse le prove di un delitto?
Questi interrogativi restarono senza risposta. Alla fiera feci numerosi affari e conobbi una ragazza che in seguito divenne mia moglie. Ci trasferimmo lontano da quel paese e il lavoro, la casa e la famiglia fecero passare gli anni quasi senza che me ne accorgessi.
Non sono più tornato in quella fattoria. Non saprei che pretesto inventare per entrare lassù.
Però non ho mai dimenticato quella notte. Dentro il muro di quel granaio, sotto la sedicesima trave so che vi è un segreto nascosto.

Sergio Bissoli