Gino si
svegliò con limpellente bisogno di orinare.
Aveva la vescica piena, tesa come la pelle di un tamburo. Se non si fosse liberato più
che in fretta, probabilmente sarebbe esploso.
I suoi piedi perlustrarono per qualche secondo il pavimento gelido, alla ricerca delle
ciabatte.
Sentiva la testa pesante, la bocca arida e impastata, come se avesse dormito tutta la
notte con uno strofinaccio infilato giù per la gola.
Con passo malfermo, appoggiandosi al muro per non cadere, riuscì a raggiungere la porta
del bagno, maledicendo mentalmente Franco, la sua festa di laurea e la cassa di
Becks che avevano prosciugato in poco meno di due ore.
Quale modo migliore, per iniziare una settimana di lavoro? pensò, ricacciando
indietro un conato di vomito.
Con la mano sinistra, tastò la parete alla ricerca dellinterruttore, mentre con
laltra si massaggiò la pancia, che aveva ormai superato di gran lunga la soglia
critica di capienza e che gli stava inviando segnali poco promettenti.
Fece una smorfia di dolore, quando la luce della lampadina gli trapassò gli occhi.
Trafelato, raggiunse il water, si abbassò le mutande e iniziò a innaffiare la pianta
immaginaria che spuntava dalla tazza, lasciandosi andare a un sospiro liberatorio.
Appoggiò le mani sui fianchi e inarcò la schiena, facendo schioccare una manciata di
vertebre, soddisfatto.
Lo sguardo gli cadde sul lavandino incrostato, alla sua destra. Tre scarafaggi rigonfi
facevano capolino dallo scarico. Neri, il carapace che rifletteva la luce tremolante della
lampadina, sembrava pattinassero, mentre cercavano di risalire la ceramica del lavabo.
Li fissò, incapace di distogliere gli occhi. Aveva le mani ancora appoggiate sui fianchi,
sudate.
Dio, e questi da dove sono spuntati? si chiese, con le viscere in tumulto.
La sua lingua biforcuta saettò, rapida.
Gino chiuse gli occhi assaporando, come in estasi, il primo pasto della giornata.