Gatti morti

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2007 - edizione 6

Il putrido tappeto di gatti morti scricchiolava mentre il ragazzo ci camminava sopra, dando l’impressione di una crosta di pus strappata da un’unghia sporca. Ad ogni passo in quella melma organica i suoi anfibi affondavano con tonfi sordi e disgustosi nelle carni maciullate delle bestiole cadaveri, procurandogli un inevitabile senso di nausea. Si trovava nel buio assoluto e l’oscurità, meschina ma nel contempo pietosa, gli risparmiava quell’orrenda visione: ma l’udito non poteva ignorare i viscidi struscii che accompagnavano ogni suo movimento.
Frugò nelle tasche del chiodo. Trovò il suo walk-man con gli auricolari.
Non ricordava di averlo preso con sé.
Ma non ricordava neppure dov’era, né perché si trovasse lì.
“... Seek in your hearth, seek in your dreams, visit your nightmares and realms yet unseen...”
The prophecy. La profezia. Dei Candlemass.

Avevano forse pensato a lui i musicisti svedesi scrivendo quel brano? A come spesso si sentisse diverso, smarrito... alle tempeste interori che sempre lo tormentavano, senza pietà...
La paranoia montava. Se la sentiva graffiare nella testa. Erano i graffi fantasma di quelle migliaia di gatti morti. E la musica continuava.
“You are alone, the last one to be, a representetive for mankind to decide the final destiny...”
Stop.

Le pile si erano esaurite, improvvisamente. Un brusco ritorno alla realtà.
Ma quale realtà?
Poi percepì come un’idea di movimento sotto a sé, intorno a sé...
(Miliardi di idee di movimento, piccole, viscide e voraci...)
Sentì la massa di gatti morti muoversi, ondeggiare, gonfiarsi...
Erano i vermi, infiniti vermi, ai suoi piedi.
E strisciavano su di lui, immondi ed affamati.
Gli si arrampicavano lungo le gambe. Gli si infilavano sotto i pantaloni. Gli si...
Urlò a squarciagola, un grido disperato al cuore della notte.
Ma il vecchio capannone abbandonato era troppo isolato, e nessuno sentì.

Luca Ducceschi