La porta si
apre, una lama di luce mi incide gli occhi. Lui entra, il passo sicuro del padrone che si
concede alla vista dello schiavo. In un angolo, vicino al frigorifero, getta la borsa
piena di cibo e si proietta dentro.
Tira le labbra in una smorfia che subito diventa lombra di un ghigno isterico.
Scopre le lunghe zanne lucide di saliva e la lingua che si agita lenta sul palato. Ha fame
di sangue e carne, quando viene qui.
Mi toglie le catene, strappa via la tuta già mezza sbrindellata e di colpo mi prende.
E forte e selvaggio, è un animale ancestrale scaturito da un ventre maligno.
Avverto il suo respiro gelido come la morte, i denti che affondano nel mio collo, Lui che
succhia con la bramosia di chi da secoli è abituato a nutrirsi degli uomini. Allora una
scarica di piacere mi scuote il corpo e devasta tutti i miei sensi. Zampillo sangue e
sperma. Forse grido, forse muoio; o forse lo vorrei. Ma inutilmente. Lui è attento a non
bere troppo, a lasciarmi in vita per il prossimo banchetto.
Poi se ne va, silenzioso come è venuto.
Rimango solo in questa casa buia persa fra le montagne, il luogo dove tiene segregata la
sua riserva alimentare, nutrita con alimenti biologici privi di additivi, perché mi vuole
in salute.
Metto via il cibo. Poi mangerò, adesso non ho fame. Mi sposto al limite della distanza
che la catena mi permette e raccolgo il foglietto di carta uscito dalla tasca della tuta.
Lultimo esame fatto prima che lui mi catturasse. Il solito test per lAIDS.
Positivo, dice sinteticamente il referto.
Accartoccio il foglio e lo getto in un angolo. E rido e piango, e ancora rido; sono solo
cibo avariato, lentamente lo avvelenerò.