Questa casa continua a mettermi addosso una gelida agitazione. Il corridoio
troppo lungo. Quella porta sempre chiusa. So che la strega è lì dentro,
rimesta nel calderone recitando le sue litanie. La bimba salta intorno
frustando l’aria coi lunghi capelli. Il loro viso è un teschio scavato, ma
la porta è chiusa e non possono farmi male.
Quando la mamma se n’è andata nessuno ha più aperto la sua stanza. Solo
molti anni dopo ho scoperto che era stata lei a chiuderla dall’interno prima
di spiccare il volo dal balcone. Non era andata a continuare la sua vita
lontano da noi, come gli adulti mi avevano fatto credere, ma l’aveva
schiantata sul cortile di sotto, mentre io mi lasciavo rapire dal mare della
colonia estiva.
L’odore dolciastro della morte era rimasto imprigionato tra le pareti,
involucro stagnante di sensazioni che una bambina non può capire. Sentivo di
non essere sola. Poi l’ho vista. Dalla porta socchiusa un volto scheletrico
ammiccava verso di me e una mano ossuta mi ha afferrata per le trecce
portandomi nell’oscurità.
«Vieni a giocare con noi, come ha fatto la tua mamma» aveva sussurrato la
piccola mentre la vecchia decorava l’aria col suo ghigno infernale. Ma io
avevo chiuso gli occhi e urlato con quanto fiato avevo in gola. Quando il
mio sguardo era tornato ad aprirsi la porta era chiusa. Il silenzio regnava.
E ha continuato a regnare fino a oggi e a quella porta di nuovo socchiusa.
Sono passati trent’anni e loro sono ancora lì.
«Vieni a giocare con noi» dice la bambina un attimo prima che la sua vocina
flebile si dissolva nella risata cupa della strega. Ma stavolta nessuna
incertezza, nessun urlo, mentre seguo il bagliore sinistro oltre la soglia.
Un rumore metallico di chiave accompagna i miei ultimi passi.
Alma ha una fenice tatuata sulla caviglia destra e un neo tra i seni. Cammina scalza e non usa mai il phon per asciugare i capelli. Non soffre di vertigini e pensa che il modo migliore per osservare il mondo sia stare seduta su un davanzale che sporge dal quarto piano. Può passare giorni interi senza parlare con nessuno. Alma ama il silenzio. E i gatti. Non chiedetele l’età, il colore dei capelli, il numero di telefono. Alma ama i particolari non i dati di fatto. E con questo pseudonimo non vuole nascondersi ma riassumere quella che è: un’anima in continuo divenire. Alma Fenice non è solo una persona. È un ideale. Quello di vivere, bruciare, rinascere. Lei lo fa scrivendo. Creando storie reinventa se stessa. È per questo che non ha generi o padroni, parla di sesso, orrori, amori. Ogni volta è una penna nuova ed è così che le piace. Per lei la scrittura è un gioco, un momento di alterità nelle sue giornate da editor, tra schede di valutazione e romanzi da visionare, un impaginato, una cover e un nuovo personaggio che bussa alla porta.