Amen

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2007 - edizione 6

Gridò a lungo prima di cominciare a correre. Le mani che l’avevano afferrata sembravano essere centinaia e ognuna di esse lasciava sulla pelle il segno violaceo del suo contatto. Amen, amen, continuava a ripetere come una cantilena, come se potesse essere l’unica salvezza possibile, un urlo verso chi, dall’alto, potesse ordinare a quegli esseri di lasciarla in pace.
Udiva lamenti strazianti che le laceravano le orecchie, sibili affilatissimi che le sfregiavano le guancie. Il suo viso era divenuto ormai rosso per i tagli ed il sangue che riversava dalle ferite. Sentì quelle mani entrare nel suo corpo, penetrare le sue viscere, strizzarle ciò che restava del suo stomaco. Cercò di entrare in un portone poco distante, ma quando gli fu vicino, mille, acuminate lance squarciarono il legno massiccio e dilaniarono il suo braccio sinistro ormai ridotto ad un ammasso informe di carne ed ossa. Amen, amen. La litania continuava nonostante tutto. Non aveva altra ragione di esistere adesso. Il suo corpo desiderava solo di essere straziato definitivamente, complice come era di quell’immenso e penoso dolore.
Vide svolazzare attorno a sè, terrificanti uccelli neri simili a corvi con un acuminato corno sul becco che cercavano di cavarle gli occhi, guardò uno di essi allontanarsi con un viscido biancastro bulbo che gli penzolava dal becco.
Cercò di pregare ma ogni parola diveniva una salamandra che fuoriusciva dalla sua bocca, ripugnante come l’idea della redenzione.
Amen, amen. Così aveva concluso il prete quando poco prima si era confessata: “Devi pentirti figliola, altrimenti patirai le pene dell’inferno”.
Amen, amen, aveva risposto lei. Ma le piaceva troppo peccare.

Alfonso Mormile