Gridò a
lungo prima di cominciare a correre. Le mani che lavevano afferrata sembravano
essere centinaia e ognuna di esse lasciava sulla pelle il segno violaceo del suo contatto.
Amen, amen, continuava a ripetere come una cantilena, come se potesse essere lunica
salvezza possibile, un urlo verso chi, dallalto, potesse ordinare a quegli esseri di
lasciarla in pace.
Udiva lamenti strazianti che le laceravano le orecchie, sibili affilatissimi che le
sfregiavano le guancie. Il suo viso era divenuto ormai rosso per i tagli ed il sangue che
riversava dalle ferite. Sentì quelle mani entrare nel suo corpo, penetrare le sue
viscere, strizzarle ciò che restava del suo stomaco. Cercò di entrare in un portone poco
distante, ma quando gli fu vicino, mille, acuminate lance squarciarono il legno massiccio
e dilaniarono il suo braccio sinistro ormai ridotto ad un ammasso informe di carne ed
ossa. Amen, amen. La litania continuava nonostante tutto. Non aveva altra ragione di
esistere adesso. Il suo corpo desiderava solo di essere straziato definitivamente,
complice come era di quellimmenso e penoso dolore.
Vide svolazzare attorno a sè, terrificanti uccelli neri simili a corvi con un acuminato
corno sul becco che cercavano di cavarle gli occhi, guardò uno di essi allontanarsi con
un viscido biancastro bulbo che gli penzolava dal becco.
Cercò di pregare ma ogni parola diveniva una salamandra che fuoriusciva dalla sua bocca,
ripugnante come lidea della redenzione.
Amen, amen. Così aveva concluso il prete quando poco prima si era confessata: Devi
pentirti figliola, altrimenti patirai le pene dellinferno.
Amen, amen, aveva risposto lei. Ma le piaceva troppo peccare.