Angioletto mio

Andrea avrebbe potuto essere un bambino normale se non fosse stato per l’essere nato senza braccia e senza gambe. Ben presto quella condizione lo aveva portato a diventare un bambino triste, con lo sguardo sempre rivolto verso il basso, a cui l’esistenza aveva donato null’altro che un pezzo di pavimento su cui imparare a strisciare, così, senza arti, come un serpente o un verme.
L’amore sconfinato della madre lo aiutava ad accettare la sua condizione, un affetto sconfinato che solo una mamma può elargire. Per lei, che Andrea camminasse o strisciasse, non faceva alcuna differenza. Il cuore di una mamma non riesce a vedere i difetti del proprio bambino, ogni movimento, ogni azione, ogni condotta del proprio infante appare come armonica nonostante sia la più sgraziata, la più goffa, la più inetta.
A dire il vero, ogni tanto gli faceva pena vederlo strisciare sul pavimento, nonostante Andrea avesse imparato ad inarcare la sua schiena in modo che il movimento ondulatorio della colonna vertebrale rendesse quel movimento più elegante. Era diventato tanto abile e talmente sciolto che riusciva, strisciando sull’addome, perfino a salire sulle sedie.
Ogni tanto sorrideva, un sorriso che pareva divenire più amaro guardando la genitrice, come per accusarla della sua condizione, come se volesse farle apparire tutto il disprezzo per quella sua misera condizione. Un sorriso e uno sguardo che spesso, la mamma, sentiva come un dito puntato contro di lei, come se niente avesse potuto lavare il disonore di una vita vissuta di “petto” non in senso figurato.

Niente amici, niente scuola, niente che potesse rapportare la sua vita al vissuto degli altri bambini. A sei anni poteva già pensare di essere un fenomeno da baraccone.
Ma quando la sofferenza diventa atroce, quando la speranza è soffocata dall’incedere delle delusioni, l’amore di una mamma è pronta a decisioni estreme, a costo della sua vita o della vita dell’amato. Fu così che, quella notte, i suoi pensieri cominciarono a concretizzarsi e rivolse il suo grido agli abissi della terra, dove il male è pronto a soddisfare qualsiasi bisogno in cambio di un’anima strappata al cielo.
Il cielo non aiuta chi non accetta la sofferenza come parte dell’esistenza, e chi vuole, è costretto a rivolgersi altrove.
Se Andrea non poteva essere un bambino normale desiderò che divenisse, almeno, un serpente bellissimo, di quelli enormi che spaventano gli uomini, che sanno muoversi con eleganza proprio come lui, il suo caro e dolcissimo bambino. Il contraccambio era ovvio, il luogo ed il tempo oscuri, riservati a chi doveva attuare il prodigio.
Mise al dito l’anello che le aveva porto il demone, lo guardò sorridente, raffigurava un serpente erto sulla sua coda, slanciato verso il cielo, imponente in ciò che rappresentava, terrificante nella sua simbologia.
Il tempo sembrava essersi fermato, il sonno prese il sopravvento per la fatica del giorno e per il diabolico incontro. Andò a letto, cosciente di quello che aveva desiderato, per nulla amareggiata da quel destino che le si era posto dinnanzi, serena come una madre che ha desiderato il meglio possibile per il suo piccino.
Nel silenzio buio della stanza si sentì un fruscio, qualcuno si stava avvicinando al suo letto, un sibilo le aprì gli occhi stanchi e rossi dalla fatica di un esistenza vissuta costantemente con il cuore a mille, si girò delicatamente. Il suo piccolo le sorrise, poi, piano, scivolò sulle lenzuola lasciando dietro di sè una scia viscida. Il viso di Andrea non era cambiato mentre il suo corpo era come quello che aveva visto sull’anello.
Il tempo di ricambiare il sorriso per assumere la consapevolezza di quello che sarebbe accaduto, poi il morso doloroso sul collo. Sentì il sangue scorrere dal suo corpo e riempire la bocca e la gola del figlio. Poi più nulla. Il silenzio si era impadronito di quello che restava della notte.
Andrea, o quello che era diventato, strisciò verso l’uscio, attese che il vociare degli sconosciuti si allontanasse e strisciando si incamminò verso il suo nuovo mondo, la sua nuova esistenza. Trovò un mucchio di paglia, il freddo della notte lo invitò a prendere posto su quel cuscino improvvisato. L’indomani il sole avrebbe scaldato le sue membra donando nuova forza al suo viscido corpo.

Alfonso Mormile