Dràaaaang!
Un colpo discordante di pianoforte, simile al rintocco delle campane dell'inferno. Si
apre il sipario.
Il dramma inizia con la sua nascita. La levatrice, che pure ne ha viste
di cotte e di crude, è terrorizzata e se lo lascia scivolare dalle mani.
Il feto atterra sul pavimento con un allegro platsch!, ma nessun suono esce dalla
sua gola. Si limita a fissare il volto dell'anziana donna che, sbiancata fino alla radice
dei capelli, dopo qualche istante sviene miserabilmente.
I genitori non sono meno spaventati di lei, decidono tuttavia di non ucciderlo. Non ne
avrebbero nemmeno il coraggio, ipnotizzati come sono dai suoi occhi nerissimi a
bottoncino, dal suo rivestimento glabro e saponoso e dal capo che presenta una cresta di
costole appuntite.
Lui ghigna e basta. Il dramma vale per gli altri, non per lui.
Dràaaaang!
Un nome bisogna pur darglielo, e perché non Giacomo, come il nonno paterno?
E' una piccola, bizzarra processione quella che avanza verso l'Ufficio Anagrafe. La madre
spinge la carrozzina stragonfia osservando davanti a sé con espressione vacua; dietro di
lei il marito, pallidissimo, non rasato, con lo sguardo e i capelli sconvolti; e in coda i
nonni, che si sostengono a vicenda come zombi in un film di Murnau.
Dràaaaang!
Non sottovalutate questo intercalare cacofonico: è l'unica colonna sonora possibile e
immaginabile per la vicenda di "Pac-Man".
L'impiegato dietro allo sportello chiede: - Nome?
- Giacomo - risponde la madre con una risolutezza che in realtà è lungi dal possedere.
Sbircia brevemente verso il "pargolo", ma distoglie prontamente gli occhi, non
riuscendo a sostenere lo sguardo che la pugnala dal basso, quei due bottoni incastonati in
un epitelio che sembra essere stato sottoposto a un peeling acido, di fuoco.
- Allora - fa l'impiegato, riempiendo i campi vuoti del suo programma di computer, -
Giacomo Borletti. Giusto?
E' in questo preciso secondo che il padre impazzisce. Sentire associato il proprio cognome
al mostricciattolo, sapere che quella creatura... quella cosa è frutto dei suoi geni, una
derivazione del suo bagaglio genetico, gli strappa l'ultimo barlume di ragione. Il
quartetto nonnesco, rimasto discretamente in disparte accanto all'entrata, lo vede
vacillare verso la strada, dove luomo, sollevando i pugni al cielo, caccia un urlo
straziante.
In chiesa è peggio: il sacerdote acconsente a impartire il sacramento del battesimo solo dopo molti tentennamenti. E, quando l'acqua santa si mette a bollire e a mandare un fetore sulfureo al contatto con il neonato, dalla bocca del religioso fuoriesce un esorcismo: "Ne facile credat... Nel nome di Cristo, Satana vattene!"
Dràaaaang!
Giacomo ghigna e basta. Lui cresce in fretta e senza problemi di salute. Con i suoi
denti aguzzi divora ogni cosa. Non parla né emette i versi tipici dei bambini piccoli:
sono i suoi occhi a mandare imperiosi segnali alla madre, la quale si è ormai ridotta a
una compunta servitrice, continuamente impegnata ai fornelli e a svuotare il secchio con i
rifiuti fecali e orinali.
Il "pargolo", dal cranio rotondo e crestato, la pelle levigata, se ne rimane
tutto spocchioso davanti alla tivù per l'intera giornata. Gastronomicamente parlando,
predilige la zuppa di ortiche e le costolette di maiale; gli intermezzi tra un pasto e
l'altro li riempie con consistenti cocktail di gamberini e grilli fritti, nonché con
fette di pane cosparse di burro, maionese e marmellata di lumache.
Mentre il padre impara a ricamare e a intrecciare cestini di vimini all'interno di una
delle più insigni istituzioni medico-sanitarie della regione, la famiglia Borletti si
assottiglia sensibilmente: Giacomo senior è vittima del crepacuore e i restanti tre
nonnetti vengono sterminati dall'Alzheimer e da altre malattie. Ciò avviene entro un
periodo straordinariamente breve. La madre, rimasta sola e impossibilitata a campare con
il magro assegno di sostentamento del Ministero della Carità, medita a più riprese di
suicidarsi, eppure riesce a tirare avanti per due decenni ancora, trascurata e sfiorita,
sconosciuta a se stessa e al vicinato.
Borletti Giacomo junior, questa grossa goccia di collagene e silicone, prende nota solo en
passant di quanto gli accade intorno. Lui si abbandona con goduria alla
teledipendenza. Ama i programmi più beceri, talk shows, film di violenza, e si arrabbia
se la genitrice non lo rimpinza, oltre che con cibo, con sempre nuovi DVD. Nelle rare
pause tra una visione e l'altra, rotola per casa e a volte si sofferma davanti allo
specchio, rapito: gli occhi senza palpebre sono due boccioli di iniquità, mentre la bocca
si allarga a dismisura e, nel suo incancellabile ghigno, mostra una dentatura in grado di
mettere il magone anche alle fiere.
Poiché non dorme quasi mai, tivù, nutrimento e autocontemplazione costituiscono una
valida alternativa alle schegge di stupida quotidianità che a tratti lo disturbano.
Così, a malapena si accorge che la madre, una donna ormai quarantenne ma che di anni ne
dimostra sessanta, sta morendo, straziata da un male che la divora dal di dentro.
Sta morendo...
Muore.
Dràaaaang!
Quando arriva il foraggio? Oh, già. La vecchia carampana non si muove più. E'
crepata. Lui ci impiega un paio di giorni per spolparla. Al terzo, spinto dalla rediviva
fame, ispeziona ben bene l'appartamento, intuisce qual è l'uscita e sguscia
difficoltosamente attraverso lo stipite. Scende le scale affrontando un gradino alla
volta, quindi supera pure il portone.
Chi lo vede caracollare lungo la strada, tutto nudo, grosso, grasso, come scartavetrato,
si arresta di colpo, limitandosi a respirare con il cuore. Alcuni curiosi hanno l'impulso
di porsi alle sue calcagna e, quando un ragazzino impudente esclama: - Assomiglia a
Pac-Man! -, nasce di colpo una nuova leggenda metropolitana.
- Ma chi è? Da dove arriva? - si chiedono, gli chiedono.
Pac-Man continua a procedere per i fatti suoi, annusando e gettando occhiate a dritta e a
manca, dapprima senza preoccuparsi del codazzo; poi, quando le voci alle sue spalle si
fanno più irritanti, quando l'effervescenza verbale raggiunge lo zenit e lo scambio di
opinioni sfocia in litigi anche pugnaci, si ferma di colpo e si gira a fissarli,
costringendoli a tacere e a cercare immediato rifugio tra gli intarsi dei palazzi.
Sebbene la fame non gli lasci pace, nella prima mezz'ora del suo tour
cittadino i suoi sensi e la sua coscienza prendono nota di un'infinità di dettagli: l'aum
subspaziale delle turbine, il fetore che sale dalle fogne, i vapori di produzione, gli
scarichi orizzontali delle tubature... Evidentemente - si dice - la gente conduce
un'esistenza senza filtri. Ma, nonostante la ricchezza di cose che ci sono da scoprire,
decide di concentrarsi sui desideri primari; del resto, non saranno i fumi della
civilizzazione a poterlo saziare.
Ma dove...?
Là!
Si immerge nella frescura di un negozio di alimentari, dirigendosi istintivamente al
bancone. I clienti arretrano inorriditi tra mille grida, chi nascondendosi oltre gli
scaffali, chi rimanendo a fissarlo con occhi spalancati.
Giacomo Borletti alias Pac-Man si china sulle prelibatezze esposte lì di fronte a lui e
allunga le tozze braccia per cercare di appropriarsene, ma glielo impedisce la lastra di
vetro.
- Desidera, signore? - domanda il negoziante, sbucato dal nulla. Ma, dopo aver messo a
fuoco la vista, lascia ricadere la mascella come se questa si fosse spezzata e anche lui
arretra in preda al di terrore.
Pac-Man comincia a battere caparbiamente sul vetro con le sue mani di gomma, mentre la
saliva gli scorre copiosa lungo il mento e sulla sua sconcia nudità, e, poiché la lastra
regge, infierisce su di essa con i pugni, fino a fracassarla. Quindi prende a ingozzarsi
di formaggi, salumi e tranci di bue, ignorando bellamente la confusione e il corri-corri
che si è scatenato dietro la sua schiena.
Accasciatosi sul freddo pavimento per mettersi più comodo, consuma il rito solitario
dell'abbuffamento. Il diletto che gliene deriva è immenso. Ha pasteggiato per due giorni
a carne cadaverica, perciò quei semplici prodotti alimentari gli sembrano delizie
sopraffine. E quanta abbondanza!
Non smette di mangiare finché non sente di essere veramente, totalmente sazio, sazio da
scoppiare. Soltanto allora si alza e torna a uscire, lasciandosi dietro una striscia di
sangue: alcuni cocci di vetro lo hanno ferito a un gomito e alle natiche. Lui non se ne
avvede. Mentre passa sotto il naso della folla concitata, piccoli frammenti luccicanti,
simili a stelline, gli cascano dalla pelle. Eccolo: una palla di gommapiuma che, sotto il
generoso sole, riluce di un biancore accecante.
Svolta un paio di angoli per sottrarsi agli sguardi importuni e sospira felice. E' vero,
non ci sarà più la madre a preparare per lui succulenti pasti e spuntini assortiti, ma
questo posto... questa... città... appare essere un deposito inesauribile di roba
commestibile.
Ora procede con molta meno difficoltà. I visceri sono gonfi, ma lui va leggero come un
batuffolo di spuma. Chi lo incrocia non può fare a meno, pur scartandolo in preda
all'angoscia, di ammirare la grazia dei suoi movimenti, la sua levità; risulterebbe un
personaggio pressappoco simpatico se non fosse per gli occhi... per le zanne... e per
tutto il resto.
All'improvviso ha la percezione di una presenza ostile e si affretta maggiormente. Per
correre non può correre, ma scopre di riuscire a camminare in maniera abbastanza veloce
sulle sue pur ridicole gambine. Intanto getta occhiate repentine dietro di sé e nei
vicoli che si allungano sulla destra. Gli occorre un nascondiglio, qualche nicchia, un
buco dove poter stare per riconquistare la tranquillità.
Due poliziotti si sono installati all'ombra del mostro e mantengono agevolmente il suo
ritmo. - Fermo! - gli intimano a revolver sfoderato, ma invano. Pac-Man avanza con i denti
aguzzi ben visibili e non sente niente, non dice niente. Un automobilista frena di botto
nello scorgerlo, altri veicoli si mettono di traverso sulla carreggiata. Una donna che
tiene una bambina per mano urla istericamente; la bambina si libera della stretta e
insegue Pac-Man ridendo, sorda alle imprecazioni dei poliziotti che le dicono di andar
via. Pac-Man scantona; ora sta correndo sul serio. E i poliziotti e la bambina sempre
dietro. Una macchina con dentro due fotoreporter gli viene incontro, sfiora il marciapiede
mentre partono i flash, poi sbanda quando uno dei due tutori dellordine si sbraccia
con la pistola ancora in pugno. Lo stridore della frenata è simile a un colpo discordante
di pianoforte, o al suono delle campane dell'inferno.
Dopo un istante si vede la bambina riversa a terra, immobile.
- Fermo! - grida l'unico poliziotto rimasto allinseguimento.
Pac-Man si volge a guardarlo con occhietti demoniaci, dopo riprende la fuga, attraversa un
incrocio... Sta cercando scampo in mezzo al caotico ammasso di lamiere. Ma queste lamiere
non stanno ferme: si muovono, sfrecciano in tutte le direzioni. Il conducente di un bus
non riesce a frenare per tempo.
Dràaaaang!
Si ignora se sia stata l'arma del poliziotto a stenderlo oppure l'impatto con il mezzo
pubblico.
Qualcuno copre il suo orrendo corpo con un telo, ma non prima che la sua immagine venga
immortalata nella memoria di numerose macchine fotografiche. Nonostante sia simile a un
balenottero, si nota bene che ha arti più o meno come i nostri. E spirato mentre
addentava un pneumatico, e una schiuma nerastra gli esce dalla bocca. Ben presto le foto
sono pubblicate dappertutto; comunicati di agenzia vengono diramati in ogni paese del
mondo.
Più o meno tutti stupiscono nel consumare la notizia, poi però la liquidano con un: -
Mah. Lennesima montatura di qualche burlone...
Ecco come nascono le presunte leggende metropolitane! Molte di esse hanno un fondamento
concreto, solo che la popolazione terrestre si è infettata con uno scetticismo insano e
amorale...
Nelle notizie di agenzia si parla di "Pac-Man, un vorace mostro di provenienza
ignota". L'autopsia rivela che la sua natura è umana, non aliena, e solo dopo
qualche mese gli inquirenti risalgono alla sua identità: trattasi di un un certo Giacomo
Borletti...
Nella sala ricreativa di un manicomio, un uomo che porta lo stesso cognome osserva ogni cosa in tivù, emette una risata rauca che fa sussultare gli altri pazienti, quindi va a rifugiarsi spontaneamente dentro la sua cella dai muri imbottiti. Un'infermiera lo sente borbottare qualcosa come: "Ne facile credat... Nel nome di Cristo, Satana vattene!"